Sovversivismo reazionario

Al gioco non troppo significativo delle combinazioni tra i vari gruppi parlamentari, argomento prediletto della cabalistica dei corrispondenti romani, è seguito ieri alla Camera il debutto di colui che ama presentarsi ed essere presentato come il capo della reazione italiana: Mussolini. E Mussolini debuttando ha creduto bene ricordare, quasi a titolo di merito, le sue origini sovversive. È una posa o è il desiderio di conciliarsi con ciò maggiormente i favori del nuovo padrone? L’uno e l’altro motivo senza dubbio concorrono, ed è pur vero che il passato sovversivismo del nuovissimo reazionario è un elemento il quale contribuisce non poco a tratteggiarne la figura. Bisogna però parlarne con spregiudicatezza e sfrondare un poco anche questo mito mussoliniano, caro al capo della vecchia ala rivoluzionaria del partito socialista. È merito della maggiore maturità di coscienza portata dalle concrete esperienze rivoluzionarie di questi ultimi anni, se, ripensando agli atteggiamenti e ai fatti di quel tempo, non possiamo a meno di vederli ridotti a proporzioni tanto diverse da quelle che ci apparivano allora? Nel parlare alla Camera, Mussolini ha usato forse una sola parola esatta quando, a proposito del suo modo di concepire i conflitti politici e di agire, ha parlato di blanquismo. La confessione ci permette di metterci dal punto di vista piú opportuno per cogliere e rendere con esattezza quanto istintivamente percepiamo oggi di illogico, di goffo, di grottesco, nella figura di Mussolini. Il blanquismo, è la teoria sociale del colpo di mano ma, a pensarci bene, il sovversivismo mussoliniano non aveva preso di esso che la parte materiale. Anche la tattica della III Internazionale si è detto che ha dei punti di contatto col blanquismo, ma la teoria della rivolta proletaria quale viene diffusa da Mosca e quale è stata attuata dai bolscevichi forma una cosa sola con quella marxista della dittatura del proletariato. Del blanquismo Mussolini aveva ritenuto solo l’esteriorità, o meglio, egli stesso lo aveva fatto diventare qualcosa di esteriore, lo aveva ridotto alla materialità della minoranza dominatrice e dell’uso delle armi nell’attacco violento. L’inquadramento dell’azione della minoranza nel movimento di massa, e il processo che fa della rivolta il mezzo per una trasformazione dei rapporti sociali, tutto ciò era scomparso. La settimana rossa romagnola, il tipico movimento mussoliniano, era quindi definita nel modo piú esatto da coloro che la chiamavano una rivoluzione senza programma.

Ma non basta; si può sostenere che per il capo dei fascisti le cose, da allora ad oggi, non sono cambiate. La sua posizione è, in fondo, ancora quella di una volta. Anche oggi egli non è altro che un teorico, se cosí si può dire, e un inscenatore di colpi di mano. Il blanquismo, nella sua materialità, può essere oggi sovversivo, domani reazionario. Sempre però esso è rivoluzionario e ricostruttore solo in apparenza, condannato a mancare di continuità e di sviluppo, dannato a non saper saldare insieme l’uno e l’altro colpo di mano nella linea di un processo storico. Oggi i borghesi, mezzo impauriti e mezzo stupefatti, guardano a quest’uomo che si è messo ai loro servizi come ad una specie di nuovo mostro, rivoluzionatore di situazioni reali e creatore di storia. Nulla di piú falso. L’incapacità di saldare insieme gli anelli di una costruzione storica è tanto grande nel blanquismo di questo epilettico quanto lo è nel sovversivismo malthusiano dei D’Aragona e dei Serrati. Sono tutti di una sola famiglia. Rappresentano, tanto l’uno quanto gli altri, una stessa impotenza. Se nella reazione italiana appare oggi una consistenza e una continuità, essa proviene da altri elementi, da altri fattori, di carattere non solo nazionale ma comune a tutti i paesi e di natura ben diversa da quella che vorrebbe far credere questo esasperato esaltatore di se stesso. La lotta contro le rivendicazioni e la resistenza contro la riscossa operaia partono da basi ben piú concrete, ma è senza dubbio significativo, per la serietà della vita politica italiana, che al culmine di una costruzione che è tenuta assieme da un poderoso sistema di forze reali si trovi questo uomo che si diletta a fare i giochi di forza e a masturbarsi colle parole.

I politici della borghesia, che giudicano dalla impotenza loro e dalla loro paura, parlano di un sovversivismo reazionario. Per noi e per tutti coloro che qualcosa comprendono del gioco di forze che fa la politica, non si tratta che di una mosca cocchiera.

L’Ordine Nuovo, 22 giugno 1921. Non firmato.