Un esame della situazione italiana

I

Della situazione politica italiana occorre esaminare tre elementi fondamentali.

1) L’elemento positivo rivoluzionario, cioè i progressi realizzati dalla tattica del fronte unico. La situazione attuale della organizzazione dei Comitati di unità proletaria e i compiti delle frazioni comuniste in questi comitati.

2) L’elemento politico rappresentato dalla disgregazione del blocco borghese agrario fascista. Situazione interna del partito dominante e significato della crisi che attraversa.

3) L’elemento politico rappresentato dalla tendenza a costituire un blocco democratico di sinistra che ha il suo perno sul partito repubblicano in quanto è la pregiudiziale repubblicana che deve costituire il terreno di questa coalizione democratica.

L’esame del primo punto deve esser fatto anche allo scopo di verificare la giustezza della linea politica fissata dal III congresso. Ciò che caratterizza il III congresso del nostro partito è il fatto che esso non solo ha posto genericamente il problema della necessità di realizzare la direzione del partito comunista in seno alla classe operaia e della classe operaia in seno alla popolazione lavoratrice italiana, ma ha anche cercato di concretare praticamente gli elementi politici attraverso i quali questa direzione avrebbe potuto realizzarsi, cioè ha cercato di individuare quei partiti e quelle associazioni attraverso alle quali si esplica l’influenza borghese o piccolo-borghese sulle classi lavoratrici e che sono passibili di un rivolgimento, di un capovolgimento dei valori classisti. Cosí occorre verificare dai risultati la giustezza del terreno organizzativo fissato dal partito come quello piú adatto per il raggruppamento immediato delle forze messe in movimento dalla tattica del fronte unico, cioè i comitati di agitazione.

Positivamente si può affermare che il nostro partito è riuscito a conquistare una posizione netta di iniziativa politica in mezzo alle masse lavoratrici. In quest’ultimo scorcio di tempo tutti gli organi giornalistici dei partiti che controllano le masse popolari italiane sono stati riempiti da polemiche contro l’azione di conquista del nostro partito. Tutti questi partiti sono sulla difensiva contro la nostra azione, e in realtà essi sono indirettamente guidati da noi poiché almeno il sessanta per cento della loro attività è dedicato a respingere le nostre offensive o è determinato nel senso di dare alle loro masse una soddisfazione che le tolga dalla nostra influenza.

È evidente che nelle condizioni di oppressione e di controllo rappresentate dalla politica fascista i risultati della nostra tattica non possono essere misurabili statisticamente sulla scala delle grandi masse. Tuttavia è innegabile che quando determinati elementi di partiti democratici e socialdemocratici si spostano sia pure molecolarmente verso il terreno tattico preconizzato dai comunisti, questo spostamento non può essere casuale e di significato puramente individuale. Praticamente la questione può essere rappresentata cosí: in ogni partito ma specialmente nei partiti democratici e socialdemocratici nei quali l’apparato organizzativo è molto rilassato, esistono tre strati. Lo strato superiore molto ristretto, che di solito è costituito di parlamentari e di intellettuali strettamente legati spesso alla classe dominante. Lo strato inferiore costituito di operai e contadini, di piccoli borghesi urbani, come massa di partito o come massa di popolazione influenzata dal partito. Uno strato intermedio che nella situazione attuale ha un’importanza ancora superiore all’importanza che aveva nei periodi normali in quanto rappresenta spesso il solo strato attivo e politicamente vivace di questi partiti. È questo strato intermedio che mantiene il legame tra il superiore gruppo dirigente e le masse del partito e della popolazione influenzata dal partito. È sulla compattezza di questo strato medio che i gruppi dirigenti contano per una futura ripresa dei diversi partiti e per una ricostruzione di essi partiti su una larga base. Ora è appunto su una notevole parte di questi strati medi dei diversi partiti a carattere popolare che si esercita la influenza del movimento per il fronte unico. È in questo strato medio che si verifica questo fenomeno molecolare di disgregazione delle vecchie ideologie e dei vecchi programmi politici e si vedono gli inizi di una nuova formazione politica sul terreno del fronte unico. Vecchi operai riformisti o massimalisti che esercitano una larga influenza in certe fabbriche o in certi quartieri urbani, elementi contadini che nei villaggi o nei borghi di provincia rappresentano le personalità piú avanzate del mondo rurale, ai quali i contadini del villaggio o del borgo ricorrono sistematicamente per avere consigli e direttive pratiche; piccoli intellettuali di città che come esponenti del movimento cattolico di sinistra irraggiano nella provincia un’influenza che non può e non deve essere misurata dalla loro modestia, ma dev’essere misurata dal fatto che in provincia appaiono come una tendenza di quel partito che i contadini erano abituati a seguire. Ecco gli elementi sui quali il nostro partito esercita un’attrazione sempre crescente e i cui esponenti politici sono un indice sicuro di movimenti alla base spesso piú radicali ancora di quanto non appaia da questi spostamenti personali.

Una attenzione particolare deve essere data alla funzione che nell’attività per il fronte unico è svolta dalla nostra gioventù. Occorre perciò tener presente che nell’azione della gioventù dev’essere consentita una maggiore elasticità che non sia consentita al partito. È evidente che il partito non può addivenire a fusioni con gli altri gruppi politici o ad accettazioni di nuovi membri sulla base del fronte unico che tende a creare l’unità d’azione della classe operaia e l’alleanza tra operai e contadini e non può essere la base di formazioni del partito. Per i giovani invece la questione si pone diversamente. Per la loro stessa natura i giovani rappresentano lo stadio elementare di formazione del partito. Per entrare nella «gioventù» non si può domandare di essere già comunisti nel senso completo della parola ma solo di avere una volontà di lotta e di voler diventare comunisti. Perciò questo punto deve servire come riferimento generale per fissare meglio la tattica propria dei giovani. Un elemento del quale occorre tener molto conto perché ha un valore storico non indifferente è questo: se ha importanza il fatto che un massimalista, un riformista, un repubblicano, un popolare, un sardista, un democratico meridionale aderiscono al programma del fronte unico proletario e della alleanza fra operai e contadini, molta maggior importanza ha il fatto che a tale programma aderisca un membro dell’azione cattolica come tale. Infatti i partiti d’opposizione sia pure in forme inadeguate e vischiose tendono a creare e mantenere un distacco tra le masse popolari e il fascismo. L’Azione cattolica invece rappresenta oggi una parte integrante del fascismo, tende attraverso l’ideologia religiosa a dare al fascismo il consenso di larghe masse popolari, ed è destinata in un certo senso, nell’intenzione di una tendenza fortissima del partito fascista (Federzoni, Rocco, ecc.), a sostituire lo stesso partito fascista nella funzione di partito di massa e di organismo di controllo politico sulla popolazione. Ogni nostro successo sia pure limitato nel campo dell’Azione cattolica significa pertanto che noi riusciamo a impedire lo svolgimento della politica fascista in un campo che sembrava precluso a qualsiasi iniziativa proletaria.

Concludendo su questo punto possiamo affermare che la linea politica del III congresso è stata verificata come giusta e il bilancio della nostra azione per il fronte unico è largamente attivo.

Occorre fissare un punto speciale per l’azione sindacale, sia nel senso della posizione da noi attualmente occupata nei sindacati di classe, che nel senso di un’attività reale sindacale da svolgere e che nella nostra posizione verso le corporazioni.

Sul 2° punto occorre fissare con esattezza la situazione interna del blocco borghese agrario fascista e della organizzazione fascista propriamente detta.

Le due tendenze del fascismo

Da una parte la tendenza Federzoni, Rocco, Volpi, che vuole tirare le conclusioni di tutto questo periodo dopo la marcia su Roma. Essa vuole liquidare il partito fascista come organismo politico e incorporare nell’apparato statale la situazione di forza borghese creata dal fascismo nelle sue lotte contro tutti gli altri partiti. Questa tendenza lavora d’accordo con la Corona e con lo stato maggiore. Essa vuole incorporare nelle forze centrali dello Stato da una parte l’Azione cattolica, cioè il Vaticano, ponendo termine di fatto e possibilmente anche di diritto al dissidio fra la casa Savoia ed il Vaticano e dall’altra parte gli elementi piú moderati dell’ex Aventino. È certo che mentre il fascismo nella sua ala nazionalista, dato il passato e le tradizioni del vecchio nazionalismo italiano, lavora verso l’Azione cattolica, dall’altro lato la casa Savoia cerca ancora una volta di sfruttare le sue tradizioni per attirare nelle sfere governative gli uomini del gruppo di Di Cesare e del gruppo Amendola.

L’altra tendenza è ufficialmente impersonata da Farinacci. Essa obbiettivamente rappresenta due contraddizioni del fascismo. 1) La contraddizione tra agrari e capitalisti nelle divergenze d’interesse specialmente doganali. È certo che l’attuale fascismo rappresenta tipicamente il netto predominio del capitale finanziario nello Stato, capitale che vuole asservire a sé tutte le forze produttive del paese. 2) La seconda contraddizione è di gran lunga la piú importante ed è quella tra la piccola borghesia ed il capitalismo. La piccola borghesia fascista vede nel partito lo strumento della sua difesa, il suo Parlamento, la sua democrazia. Attraverso il partito vuole fare pressioni sul governo per impedire di essere schiacciata dal capitalismo. Un elemento che occorre tener presente è il fatto dell’asservimento completo in cui l’Italia è stata messa dal governo fascista verso l’America. Nella liquidazione del debito di guerra sia verso l’America che verso l’Inghilterra il governo fascista non si è preoccupato di avere nessuna garanzia sulla commerciabilità delle obbli-gazioni italiane. La borsa e la finanza italiane sono esposte in ogni momento al ricatto politico dei governi americano ed inglese, che possono in ogni momento gettare sul mercato mondiale enormi quantità di valori italiani. Il debito Morgan d’altra parte è stato contratto in condizioni ancora peggiori. Sui cento milioni di dollari del prestito il governo italiano ha a sua disposizione solo trentatre milioni. Degli altri 67 milioni il governo italiano può disporre solo coll’alto consenso personale di Morgan, ciò che significa che il vero capo del governo italiano è Morgan. Questi elementi possono servire per dare alla piccola borghesia nella difesa dei suoi interessi attraverso il partito fascista come tale un’intonazione nazionalista contro il vecchio nazionalismo e l’attuale direzione del partito che ha fatto sacrificio della sovranità nazionale e dell’indipendenza politica del paese agli interessi di un gruppo ristretto di plutocrati. A questo proposito un compito del nostro partito dev’essere quello di insistere in modo particolare sulla parola d’ordine degli Stati uniti soviettisti d’Europa come mezzo di iniziativa politica fra le file fasciste.

In generale si può dire che la tendenza Farinacci nel partito fascista manca di unità, di organizzazione, di princìpi generali. Essa è piú uno stato d’animo diffuso che una tendenza vera e propria. Non sarà molto difficile al governo di disgregare i suoi nuclei costitutivi. Ciò che importa dal nostro punto di vista è che questa crisi, in quanto rappresenta il distacco della piccola borghesia dalla coalizione borghese agraria fascista, non può non essere un elemento di debolezza militare del fascismo.

La crisi economica generale è l’elemento fondamentale della crisi politica. Occorre esaminare gli elementi di questa crisi perché tra di essi alcuni sono inerenti alla situazione generale italiana e funzioneranno negativamente anche nel periodo di dittatura proletaria. Questi elementi principali possono essere cosí fissati: dei tre elementi che tradizionalmente costituiscono l’attivo della bilancia italiana, due, le rimesse degli emigrati e l’industria del forestiero, sono crollati. Il terzo elemento, l’esportazione, subisce una crisi. Se ai due fattori negativi — rimesse degli emigrati ed industria del forestiero — e al terzo fattore parzialmente negativo — esportazione — si aggiunge la necessità di forti importazioni granarie per il fallimento del raccolto, è evidente che le prospettive per i prossimi mesi si presentano come catastrofiche. È necessario tener conto di questi quattro elementi per comprendere l’impotenza del governo e della classe dirigente. Certo, se il governo niente o quasi niente può fare per aumentare le rimesse degli emigrati (tener conto dell’iniziativa prospettata dal signor Giuseppe Zuccoli, presunto successore di Volpi al dicastero delle Finanze) e per far prosperare l’industria del forestiero, qualche cosa invece può fare per aumentare l’esportazione. Tuttavia è possibile in questo senso una grande politica che se pure non rimargini la ferita per lo meno tenda a cicatrizzarla. Qualcuno pensa alla possibilità di una certa politica di lavoro basata sull’inflazionismo. Naturalmente non è da escludere in senso assoluto questa possibilità, ma: 1) se anche si verificasse, i suoi risultati nel campo economico sarebbero relativamente minimi; 2) i suoi risultati sarebbero invece catastrofici nel campo politico. Occorre infatti tener presente questi elementi:

1) L’esportazione rappresenta nella bilancia italiana solamente una parte dell’attività, al massimo i due terzi. 2) Per pareggiare la bilancia non solo occorrerebbe condurre l’attuale base produttiva al suo massimo rendimento, ma occorrerebbe allargare la stessa base produttiva comprando all’estero nuovi macchinari, ciò che peggiorerebbe ancora la bilancia. 3) Le materie prime per l’industria italiana sono importate dall’estero e devono essere pagate con moneta non svalutata. Un aumento della produzione su larga scala porterebbe alla necessità di un’enorme massa di capitale circolante per l’acquisto delle materie prime. 4) Occorre tener presente che il fascismo come fenomeno generale ha, in Italia, portato al minimo i salari e gli stipendi della classe lavoratrice. L’inflazione è comprensibile in un paese ad alti salari, come surrogato del fascismo, per abbassare il livello di vita delle classi lavoratrici e quindi ridare elasticità alla borghesia italiana. Non è comprensibile in Italia dove il tenore di vita della classe operaia sta rasentando già la fame.

Tra gli elementi della crisi economica: la nuova organizzazione delle società per azioni coi voti privilegiati, che è uno degli elementi di rottura fra piccola borghesia e capitalismo, e il fatto del dislivello verificatosi in quest’ultimo tempo fra la massa del capitale delle società anonime che si va concentrando in poche mani e la massa del risparmio nazionale. Questo dislivello dimostra come le fonti del risparmio vadano essiccandosi, perché i redditi attuali non sono piú sufficienti ai bisogni.

Sul terzo elemento politico. È evidente che avviene nel campo della democrazia un certo raggruppamento con carattere piú radicale che nel passato. L’ideologia repubblicana si rafforza, inteso ciò nello stesso senso che per il fronte unico, cioè negli strati medi dei partiti democratici e in questo caso anche in buona parte degli strati superiori.

Vecchi capi ex aventiniani hanno rifiutato l’invito a riprendere i contatti con la casa reale. Si dice che lo stesso Amendola nell’ultimo periodo della sua vita fosse diventato completamente repubblicano e facesse in questo senso propaganda personale. I popolari sarebbero diventati anche essi tendenzialmente repubblicani, ecc. È certo che si fa un grande lavoro per determinare sul terreno repubblicano un raggruppamento neodemocratico che dovrebbe prendere il potere al momento della catastrofe fascista e instaurare un regime di dittatura contro la destra reazionaria e contro la sinistra comunista. A questo risveglio democratico repubblicano hanno contribuito gli ultimi avvenimenti europei come l’avventura Pilsudski in Polonia ed i sussulti preagonici del cartello francese. Il nostro partito deve porsi il problema generale delle prospettive della politica nazionale. Gli elementi possono essere cosí stabiliti: se pur è vero che politicamente il fascismo può avere come successore una dittatura del proletariato — poiché nessun partito o coalizione intermedia è in grado di dare sia pure una minima soddisfazione alle esigenze economiche delle classi lavoratrici che irromperebbero violentemente nella scena politica al momento della rottura dei rapporti esistenti — non è però certo e neanche probabile che il passaggio dal fascismo alla dittatura del proletariato sia immediato. Bisogna tener conto del fatto che le forze armate esistenti, data la loro composizione, non sono conquistabili immediatamente e che esse saranno l’elemento determinante della situazione. Si possono fare delle ipotesi alle quali attribuire volta per volta maggiore carattere di probabilità. È possibile che dal governo attuale si passi a un governo di coalizione, nel quale uomini come Giolitti, Orlando, Di Cesarò, De Gasperi diano una maggiore elasticità immediata. Gli ultimi avvenimenti parlamentari francesi dimostrano di quale elasticità sia capace la politica borghese per allontanare la crisi rivoluzionaria, spostare gli avversari, logorarli, disgregarli. Una crisi economica improvvisa e fulminea non improbabile in una situazione come quella italiana potrebbe portare al potere la coalizione democratica repubblicana, dato che essa si presenterebbe agli ufficiali dell’esercito e a una parte della stessa milizia e ai funzionari dello stato in genere (elemento di cui bisogna tener molto conto in situazioni come quella italiana) come capace di infrenare la rivoluzione. Queste ipotesi hanno per noi solo un valore generale di prospettiva. Esse ci servono per fissare questi punti:

1) Noi dobbiamo fin da oggi restringere al minimo l’influenza e l’organizzazione dei partiti che possono costituire la coalizione di sinistra per rendere sempre piú probabile una caduta rivoluzionaria del fascismo, in quanto gli elementi energici ed attivi della popolazione sono sul nostro terreno nel momento della crisi. 2) In ogni caso noi dobbiamo tendere a rendere piú breve che sia possibile l’intermezzo democratico avendo fin da oggi disposto a nostro favore il maggior numero di condizioni favorevoli.

È da questi elementi che dobbiamo trarre l’indicazione per la nostra attività pratica immediata. Intensificare l’attività generale del fronte unico e l’organizzazione di sempre nuovi comitati d’agitazione per centralizzarli almeno su scala regionale e provinciale. Nei comitati le nostre frazioni devono cercare prima di tutto di ottenere il massimo di rappresentanze delle diverse correnti politiche di sinistra evitando sistematicamente ogni settarismo di partito. Le questioni devono essere dalle nostre frazioni impostate oggettivamente come espressioni degli interessi della classe operaia e dei contadini.

Tattica verso il partito massimalista.

Necessità, di impostare piú energicamente il problema meridionale. Se il nostro partito nel Mezzogiorno non si mette a lavorare seriamente, il Mezzogiorno sarà la base piú forte della coalizione di sinistra.

Tattica verso il Partito sardo d’azione, in vista di un suo prossimo congresso.

Per l’Italia meridionale e per le Isole creazione dei gruppi di lavoro regionali nel resto d’Italia.

II

 Per ciò che riguarda la situazione internazionale mi pare che essa sia specialmente dominata dalla questione dello sciopero generale inglese e delle conseguenze da trarre rispetto ad esso. Lo sciopero inglese ha posto due problemi fondamentali per il nostro movimento:

1) Il problema delle prospettive generali, cioè il problema di un preciso apprezzamento della fase attuale che attraversa il regime capitalista. È finito il periodo della cosiddetta stabilizzazione? A che punto noi ci troviamo per rispetto alle capacità di resistenza del regime borghese? È evidente che non solo dal punto di vista teorico e scientifico, ma anche dal punto di vista pratico ed immediato è interessante e necessario verificare con esattezza qual è il punto preciso della crisi capitalistica. Ma è anche evidente che sarebbe stolto ogni orientamento politico sulla base di un apprezzamento diverso del grado preciso della crisi capitalistica, se questo diverso apprezzamento non si riflette immediatamente in direttive politiche ed organizzative realmente differenti. Il problema da porre mi pare debba essere questo: nel campo internazionale, ciò significa praticamente due cose: 1) nel campo di quel gruppo di Stati capitalistici che sono la chiave di volta del sistema borghese; 2) nel campo di quegli Stati che rappresentano come la periferia del mondo capitalistico: siamo noi per passare dalla fase di organizzazione politica delle forze proletarie alla fase di organizzazione della rivoluzione? Ossia pure, siamo per passare dalla prima delle due fasi suddette a una fase intermedia, nella quale una determinata forma di organizzazione tecnica può accelerare l’organizzazione politica delle masse e quindi accelerare il passaggio alla fase risolutiva della conquista del potere? Questi problemi secondo me debbono essere posti in discussione, ma è evidente che la loro soluzione non è possibile in un piano puramente teorico: essa è possibile solo sulla base di dati concreti relativi all’efficienza reale sia delle forze rivoluzionarie che delle forze borghesi.

Alcune serie di osservazioni e di criteri devono essere posti alla base di questo esame:

1) L’osservazione che nei paesi a capitalismo avanzato la classe dominante possiede delle riserve politiche ed organizzative che non possedeva per esempio in Russia. Ciò significa che anche le crisi economiche gravissime non hanno immediate ripercussioni nel campo politico. La politica è sempre in ritardo e in grande ritardo sull’economia. L’apparato statale è molto piú resistente di quanto spesso non si può credere e riesce ad organizzare nei momenti di crisi forze fedeli al regime piú di quanto la profondità della crisi potrebbe lasciar supporre. Ciò si riferisce specialmente agli Stati capitalistici piú importanti. Negli Stati periferici tipo della serie, come l’Italia, la Polonia, la Spagna e il Portogallo, le forze statali sono meno efficienti. Ma in questi paesi si verifica un fenomeno che deve essere tenuto nel massimo conto. Il fenomeno a parer mio consiste in ciò: in questi paesi tra il proletariato e il capitalismo si distende un largo strato di classi intermedie le quali vogliono e in un certo senso riescono a condurre una propria politica con ideologie che spesso influenzano larghi strati del proletariato, ma che hanno una particolare suggestione sulle masse contadine. Anche la Francia, nonostante che occupi una posizione eminente nel primo gruppo degli Stati capitalistici, partecipa per alcune sue caratteristiche alla situazione degli Stati periferici.

Ciò che mi pare caratteristico della fase attuale della crisi capitalistica consiste nel fatto che, a differenza del ’20-’21-’22, oggi le formazioni politiche e militari delle classi medie hanno un carattere radicale di sinistra, o almeno si presentano dinanzi alle masse come radicali di sinistra. Lo sviluppo della situazione italiana, dati i suoi caratteri peculiari, mi pare possa in un certo senso dare il modello per le diverse fasi attraversate dagli altri paesi. Nel ’19 e ’20 le formazioni militari e politiche delle classi medie erano da noi rappresentate dal fascismo primitivo e da D’Annunzio. È noto che in quegli anni tanto il movimento fascista come il movimento dannunziano erano disposti anche ad allearsi con le forze proletarie rivoluzionarie per rovesciare il governo di Nitti, che appariva come il mezzano del capitale americano per asservire l’Italia (Nitti è stato in Europa il precursore di Dawes). La seconda fase del fascismo — ’21 e ’22 — è nettamente reazionaria. Dal ’23 si inizia un processo molecolare per cui gli elementi piú attivi delle classi medie si spostano dal campo reazionario fascista al campo delle opposizioni aventiniane. Questo processo precipita in una cristallizzazione che poteva essere fatale al fascismo nel periodo della crisi Matteotti. Per la debolezza del nostro movimento, debolezza che d’altronde aveva essa stessa un significato, il fenomeno è interrotto dal fascismo, e le classi medie sono respinte in una nuova polverizzazione politica. Oggi il fenomeno molecolare ha ripreso su una scala di molto superiore a quello iniziatosi nel ’23 ed è accompagnato da un fenomeno parallelo di raggruppamento delle forze rivoluzionarie intorno al nostro partito, ciò che assicura che una nuova crisi tipo Matteotti difficilmente potrà avere un nuovo 3 gennaio. Queste fasi attraversate dall’Italia, in una forma che chiamerei classica ed esemplare, le ritroviamo in quasi tutti i paesi che abbiamo chiamati periferici del capitalismo. La fase attuale italiana, cioè un raggruppamento a sinistra delle classi medie, la troviamo in Ispagna, in Portogallo, in Polonia, nei Balcani. Solo in due paesi, Cecoslovacchia e Francia, troviamo una continuità nella permanenza del blocco di sinistra, fatto che dovrebbe essere secondo me particolarmente studiato. La conclusione di queste osservazioni che naturalmente dovranno essere perfezionate ed esposte in forma sistematica, mi pare possa essere questa: realmente noi entriamo in una fase nuova dello sviluppo della crisi capitalistica. Questa fase si presenta in forme distinte nei paesi della periferia capitalistica e nei paesi di avanzato capitalismo. Tra queste due serie di Stati la Cecoslovacchia e la Francia rappresentano i due anelli di congiunzione. Nei paesi periferici si pone il problema della fase che ho chiamata intermedia tra la preparazione politica e la preparazione tecnica della rivoluzione. Negli altri paesi, Francia e Cecoslovacchia comprese, mi pare che il problema sia ancora quello della preparazione politica. Per tutti i paesi capitalistici si pone un problema fondamentale, quello del passaggio dalla tattica del fronte unico, inteso in senso generale, a una tattica determinata, che si ponga i problemi concreti della vita nazionale e operi sulla base delle forze popolari cosí come sono storicamente determinate.

Tecnicamente si tratta del problema delle parole d’ordine e anche delle forme di organizzazione. Se non avessi un certo timore di sentire gridare all’ordinovismo, direi che oggi uno dei problemi piú importanti che si pongono specialmente nei grandi paesi capitalistici è quello dei consigli di fabbrica e del controllo operaio, come base di un raggruppamento nuovo della classe proletaria che permetta una migliore lotta contro la burocrazia sindacale e permetta di inquadrare le masse ingentissime che sono disorganizzate non solo in Francia, ma anche in Germania ed in Inghilterra. Per l’Inghilterra mi pare in ogni modo che il problema del raggruppamento delle masse proletarie possa essere posto anche sullo stesso terreno sindacale. Il nostro partito inglese deve avere un programma di riorganizzazione democratica delle Trade-unions. Solo nella misura in cui i sindacati locali inglesi si coordineranno come le nostre Camere del lavoro e daranno alle Camere del lavoro poteri adeguati sarà possibile: 1) liberare gli operai inglesi dall’influenza della burocrazia sindacale; 2) ridurre l’influenza esercitata nel Labour party dal partito di MacDonald (ILP) che oggi funziona appunto come forza centralizzatrice locale nella polverizzazione sindacale; 3) creare un terreno in cui sia possibile agli elementi organizzati del nostro partito di esercitare direttamente un’influenza sulla massa operaia inglese. Io penso che una riorganizzazione in tal senso delle Trade-unions, sotto l’impulso del nostro partito, avrebbe il significato e l’importanza di una vera e propria germinazione soviettista. D’altronde essa sarebbe nella linea della tradizione storica della classe operaia inglese, dal chartismo fino ai comitati di azione del 1919.

Il secondo problema fondamentale posto dallo sciopero generale inglese è quello del Comitato anglo-russo. Io penso che nonostante la indecisione, la debolezza e se si vuole il tradimento della sinistra inglese durante lo sciopero generale, il Comitato anglo-russo debba essere mantenuto perché è il terreno migliore per rivoluzionare non solo il mondo sindacale inglese, ma anche i sindacati di Amsterdam. In un solo caso ci dovrebbe essere una rottura tra i comunisti e la sinistra inglese: se l’Inghilterra fosse alla vigilia della rivoluzione proletaria e il nostro partito cosí forte da poter condurre da solo la insurrezione.

Postilla. Queste non sono state scritte solo per preparare il lavoro del Comitato direttivo. Esse sono ben lungi dall’essere definitive, ma rappresentano solo il canovaccio per una prima discussione.

 

Testo che Gramsci sottopose a discussione preliminare prima di svolgerlo, come relazione, alla riunione del Comitato direttivo del Partito comunista del 2-3 agosto 1926 (APCI, 396/13-27).
La prima parte fu pubblicata in Stato operaio (marzo 1928, pp. 82-88) con lievi varianti dal testo qui riprodotto.
Tutto il documento è stato pubblicato in Rinascita (14 aprile 1967, pp. 21-22).