Bevione in bestia

Cioè lo si rivede in se stesso. Il Congresso magistrale suggerisce al nostro eroetto, divenuto compiutamente offenbachiano, la tremendissima filippica contro il Partito socialista. La nostra stima per l’onorevole del quarto collegio è incommensurabile. C’è in lui una profluvie di virtú e di meriti politici e morali non facilmente reperibili negli avversari. Intanto è onniscente. È capace di tutte le improvvisazioni, di tutti gli acrobatismi possibili e immaginabili. La campagna socialista contro le infiltrazioni massoniche nella scuola, piú subdole delle stesse ingerenze cattoliche, non può non solleticare il signor Bevione, già autore di una furente diatriba giornalistica contro la massoneria, a plagiare nel turpiloquio un certo giornale per dire, sul foglio del nuovo ed onorato padrone, il rinomato epigono boteriano, che il Partito socialista vorrebbe servirsi dell’organizzazione dei maestri per compiere un’azione «nefanda ed idiota» contro la patria, contro la guerra. L’ometto del pio ricovero di via Quattro Marzo ha di che rallegrarsi: il nuovo «acquisto» non è stato fatto indarno, il contratto di compra-vendita è stato un po’ caro; ma Bevione comincia a rispondere alla bisogna. I vecchioni del pio ricovero ringalluzziscono. Bevione può continuare: manderà in sollucchero il commendatore bavarese, incapace di attaccare per vie e con mezzi diretti. Contentoni anche noi che vogliamo avere degli avversari, non delle mummie. E lasciamo la parola al moschettiere voltagabbana. Udite, udite: «Mentre tutti i socialisti dell’Europa guerreggiante, nessuno escluso, combattono al fianco dei fratelli di ogni fede politica, sostenendone gli sforzi per la salvezza della patria, in Italia, e in Italia soltanto, vediamo lo spettacolo nefando e idiota di un socialismo che si fa positivo organizzatore della discordia e della debolezza interna, che taglia i nervi alla libera iniziativa atta a rinvigorire la resistenza nazionale, e per ignobile speculazione elettorale si comporta come non vedesse che se la guerra è un male, un male a cento doppi peggiore è la sconfitta».

Non è qui il luogo di intavolare la discussione. Il signor Bevione intanto ignora che proprio in Francia gli «istitutori» in questi giorni vanno svolgendo un’iniziativa che, se può essere tacciata di tradimento dai «patriottismi» della guerra jusqu’au bout, risponde ai criteri e alle idealità del socialismo, che s’oppone alla seminagione folle dell’odio tra un popolo e l’altro.

Non parliamo dell’apoliticismo che il Bevione caldeggia. L’apoliticismo del messere è un quid mutabile col mutare della «posizione» del nostro onorevole che, dopo la non lontana campagna contro la massoneria, adesso scrive per la massoneria. Proprio come il suo patriottismo. Non si deve infatti dimenticare che la quintessenza patriottica, indiscutibile, assoluta dell’on. Bevione, qualche anno fa, era nella campagna libica per la quale, com’ebbe a dire il Salvemini, il nostro voltagabbana scrisse, in cattiva prosa, molte sciocchezze.

Ora la salute sarebbe la guerra agli imperi centrali e chi non accetta questa verità assoluta anche nelle scuole elementari, è «nefando ed idiota come i Lazzari, i Vella e i Barberis». Ma noi non dimentichiamo nemmeno che il signor Bevione, poco prima che l’Italia entrasse nella conflagrazione, quando non era nemmeno in vista la sinecura demomassonica di via Quattro Marzo, ebbe a scrivere che i nostri naturali alleati non potevano essere che la Germania e la Russia.

Ho già detto che non è qui il luogo di discutere le questioni della «magistrale». Il nostro giornale si è già spiegato assai in altra parte, pur sotto l’incubo della censura.

Al signor Bevione, che si mostra cosí incoraggiato ad insolentire i socialisti ufficiali, «sabotatori della patria e della guerra», per ora vorrei domandare: come mai egli ha potuto ottenere di dimettere la divisa di volontario per tornare al fronte interno, alle comode e ben rimunerate battaglie della sua penna vendereccia?

Ecco una domanda che già indarno fu rivolta al signor Bevione. Comunque qui s’attende ancora che costui risponda.

(21 aprile 1916).