Giovedì santo

Per chi ha da esercitare ogni giorno il mestieraccio, la cosa riesce alquanto proficua. Già intanto io apro ogni mattina quel foglio con uno o piú sbadigli di sollievo e di ilarità. Ogni giorno se ne ha una almeno. Non se l’abbiano a male i «cari colleghi». Dacché faccio iniezioni di sangue… d’agnello la nota è mutata. L’ira non mi rapprende, neppure se mi viene dato di sapere che il nostro celebre «aria ai monti» giura dinanzi ai giudici militari che quand’anche un certo imputato venisse condannato (o meglio, qualunque cosa capiti, nevvero signor conte?) egli si riterrebbe sempre onorato di essergli amico.

Io sono un lettore assiduo della stampa cattolica, e la mia mania di raffronto si esercita piú assiduamente e perfidamente tra i giornali clericali. Vedo la «Unità cattolica» e il «Momento» locale. Entrambi si pregiano di interpretare il pensiero politico del cattolicismo; beneficiano abbondantemente di approvazioni e benedizioni papali, cardinalizie, arcivescovili e vescovili: dovrebbero essere le gamme diverse da fondersi in un solo colore fondamentale o un bicolore? Nero-giallo?

Forse. Ma nell’«Unità cattolica», che trova modo e tempo di occuparsi frequentemente delle cose torinesi, trovi una compattezza d’idee, una dirittura granitica, un’ostinazione fanatica, uno zelo inflessibile, una intransigenza che non è puramente formale, una fede prorompente. Tutto ciò è anche anacronistico, troppo anacronistico. Ma in ultima analisi, quella fede ingenua e testarda in tutti i misteri di S. M. Chiesa, dalla trinità all’infallibilità, non riesce antipatica. C’è della fierezza, del carattere. Si passa oltre e si è costretti a dire: meglio cosí, che sono sinceri anche quando reclamano il ripristinamento del potere temporale.

Vedi invece l’altro, anzi gli altri organi giornalistici della cattolicità. Ecco il «Momento». È il quotidiano risultamento di un compromesso moralmente impossibile fra il sacro e il profano, il divino e l’umano, l’anacronismo e lo snobismo. La rubrica delle funzioni religiose è accanto a tutto il resto, alla nota mondana, alla cronaca nera, alle note teatrali, alla notizia dell’adulterio, notizia peccaminosa di per se stessa, e ciò ti dà sensazione di attaccaticcio. Ho letto or ora le disposizioni e le indicazioni per giovedí santo del reverendissimo curato di S. Teresa, «che con uno zelo indefesso accoppia un mirabile senso di praticità e ha notato come spesso i fedeli facciano le visite del giovedí santo ai cosí detti sepolcri senza un sicuro criterio religioso e quasi senza sapere quali preghiere siano piú adatte al pio scopo».

Proprio cosí: anch’io non sapevo. Ora se i modi di codesto compromesso tra l’attività sacra e l’attività profana hanno la virtú di suscitare nella piú parte dei lettori la sensazione che io provo nel leggere le rubriche religiose del confratello, il «Momento» potrà accrescere il numero dei lettori, ma non il novero dei credenti.

Ché la fede vera rifugge da ogni compromesso. L’«Unità cattolica» dalle gonfie declamazioni bibliche non può che darmi ragione per dar torto a tutti i conati di modernità dei giornali clericali dei trust.

E anche il giovedí santo nelle recensioni del «Momento» riesce una buffonata coi fiocchi: è un motivo di comicità, non una rievocazione tragica.

E il genere comico — dice il De Sanctis — è sempre una attestazione di decadimento. E vuol dire che il cattolicismo del «Momento» decade.

(20 aprile 1916).