Il generale Pietro Grammantieri — ferito di guerra, decorato al valore, promosso colonnello per meriti speciali di guerra e dopo quattro mesi promosso generale — è stato collocato a riposo, d’ordine del ministero della guerra, per essere intervenuto alla conferenza Bissolati alla Scala quale membro del Consiglio centrale della Famiglia italiana della Società delle Nazioni e aver ricordato agli ufficiali turbolenti il dovere della serietà e della disciplina.
Il generale Chiarla, comandante del presidio militare di Torino, è intervenuto a un banchetto politico offerto agli studenti dalmati nel ristorante Scribe; il generale Chiarla vi ha pronunziato un discorsetto di «parole sincere e spontanee» per salutare i «fratelli dalmati». Il banchetto aveva un preciso significato di azione governativa immediata, perché coronava una riunione di intellettuali demagoghi all’università, nella quale era stato acclamato un ordine del giorno rinnovante, tra la molta retorica pseudoletteraria, il fatidico giuro: Dalmazia o morte!
Ma il generale Chiarla non sarà collocato a riposo, sebbene non sia ferito di guerra e «non abbia avuto l’occasione» di meritarsi promozioni per meriti specialissimi!
I democratici protestano contro la misura presa contro il Grammantieri, protestano contro il militarismo che non si smentisce. I democratici fingono di non essere guariti dalle rosee illusioni; per essi il militarismo «potrebbe smentirsi», potrebbe snaturarsi e non essere piú militarismo pur continuando ad essere militarismo.
Anche la disciplina militare è una finzione giuridica, anche l’«apoliticismo» militare è una leggenda. L’esercito rappresenta, nel regime capitalista, l’aggressività potenziale della classe che domina lo Stato; non può concepirsi un esercito pacifista, come non può concepirsi un proletariato riformista. Il riformismo del proletariato, il pacifismo dell’esercito sono stati di marasma, di alienazione, sono stati transitori. Il proletariato si allena per la rivoluzione, l’esercito si allena per la guerra, la guerra che non può non essere concepita come tattica permanente degli Stati borghesi, come la lotta di classe è tattica permanente del proletariato. Cosí è, cosí deve essere; Grammantieri ha torto, ha ragione Chiarla, sebbene «legalmente» il torto e la ragione siano viceversa. Grammantieri sostiene la pace perpetua e la Società delle Nazioni, che il governo afferma voler conseguire; Grammanticri, servitore dello Stato, si mantiene nel solco verbale dell’attività dello Stato, ubbidisce alla disciplina ideale che lo Stato afferma di volere instaurare nel pubblico costume; Grammantieri non preme per un’azione politica che ponga in pericolo il bene patrimoniale e la vita dei cittadini, che contribuisca a fare iniziare un’intrapresa in cui la sicurezza dello Stato corra un qualsiasi rischio. Eppure egli ha torto, egli viene punito. Le parole sono una cosa, la realtà è un’altra. I generali democratici vengono eliminati in tempo di guerra; ci vuole il cattolico Foch non il repubblicano Joffre, il «guerriero» Chiarla non il «generoso romagnolo» Grammantieri, anche se Chiarla non è disciplinato e partecipa a banchetti che hanno un significato politico, che, nella loro minimezza, vogliono contribuire a spingere lo Stato in una intrapresa che potrà porre in rischio i beni e la vita dei cittadini. Chiarla tiene alto lo spirito bellicoso, il «morale» dell’esercito, allena i subalterni all’idea della guerra potenziale nel regime. Egli acquista merito, egli verrà probabilmente promosso «per merito di guerra».
(21 gennaio 1919).