I blocchi

Un gruppo di giovani del circolo «Andrea Costa» ha preso l’iniziativa per la costituzione a Torino di un fascio internazionalista rivoluzionario che dovrebbe comprendere i socialisti, gli anarchici e i sindacalisti. Un blocco rosso insomma.

Dopo i lunghi dibattiti fatti sui nostri giornali a proposito dei blocchi, parrebbe inutile e superflua ogni altra discussione e iniziativa. Ma in realtà la questione si presenta attualmente sotto un altro aspetto.

Non è coi democratici, coi massoni, coi repubblicani che si deve fare alleanza. Di questi agglomerati politici era facile la critica; bastava dimostrare che il loro contenuto politico ed economico era essenzialmente borghese, perché il partito nostro, ormai uscito di minorità, non potesse piú a lungo sostenere il loro contatto. Coi sindacalisti e gli anarchici le distinzioni sono piú delicate e piú sottili. Non si può negar loro di essere nati e di trarre la loro energia dal fecondo terriccio della lotta di classe, di essere emanazioni del proletariato, insomma. Ma basta tutto ciò per proporre una fusione? E non potrebbe questa diventare una confusione? Ci sono delle differenze evidentemente, tra noi e gli altri due gruppi; perché non si tratta solo di parole, di nomi. E chi dei tre rinunzierà a differenziarsi ed accettare quello dei programmi che sarà riconosciuto piú logico, piú utile per sovvertire la realtà attuale?

Perché, se non si vuol fare una revisione di valori, se non si vogliono crivellare le tre teorie (e son certamente tre teorie ben individuate) per assumere come segnacolo i loro residui o i loro ampliamenti, non si riuscirà ad altro che ad una riforma burocratica, ad un accentramento meccanico senza alcun valore ideale né pratico. Una fusione di tal genere avviene naturalmente nel momento dell’azione, quando si ha un fine immediato da raggiungere, un avversario comune da colpire. E l’unità delle forze sovversive si attuò infatti meravigliosamente nel 1914. Ma dopo quella magnifica scrollata che si diede alla tarlata e scricchiolante carcassa dello Stato italiano, ognuno ritornò al proprio compito, con utilità comune, perché si era imparato perlomeno a rispettarsi, ad amarsi l’un l’altro. Si era visto che le violente diatribe, le feroci polemiche con le quali anarchici, socialisti e sindacalisti si erano dilaniati nel passato non avevano lasciato residui di odio né creato incompatibilità assolute.

L’iniziativa attuale dei giovani dell’«Andrea Costa» ci pare abbia un movente bellissimo, ma forse non del tutto giustificato. È opinione volgare e diffusa che gli anarchici e i sindacalisti siano piú «rivoluzionari» che i socialisti anche estremi. E questo è un pregiudizio, perché il rivoluzionarismo non è in funzione assoluta con le affermazioni gladiatorie e con la violenza di linguaggio. La storia specialmente del sindacalismo italiano può dimostrarlo. Crediamo perciò che il nostro partito non abbia affatto bisogno di queste iniezioni per irrobustirsi. Ha dimostrato di avere in sé tale e tanta energia da poter in molte occasioni servire di esempio agli altri, e non da doversi accodare agli altri. L’azione dei giovani può essere beneficamente esercitata all’interno — come finora — per rinnovare, per vivificare, per far sí che il sangue nuovo arrivi e circoli anche negli organi piú lontani dal cuore e piú refrattari. Se gli anarchici e i sindacalisti sono tali sul serio, rientrando nel partito dovrebbero cercare nuovamente di impadronirsene e di far accettare integralmente le loro concezioni; e ciò non farebbe altro che risuscitare discussioni, vecchie, stantie. Preferiamo essere distinti — senza odio, però — e operare gli uni accanto agli altri, pronti ad unire saldamente tutte le forze quando l’occasione si presenti, come indubbiamente si presenterà.

(10 giugno 1916).