Sic vos non vobis

Cosí voi, non per voi, o repubblicani, preparate i nuovi destini d’Italia. Ve lo inibisce il nazionalismo locale, che si meraviglia dell’acquiescenza governativa che ha permesso il congresso dei berretti frigi e non si è valso dei pieni poteri per rinsaldare la sacra unione minacciata da Robespierre. E non ha torto Tupin nonché Girola, o la sua caramella, come piace meglio, che ha una sensibilità cosí delicata in politica interna ed estera (anche in questo numero del suo giornale pubblica che «il mondo è nostro», cosa che fa sempre piacere a sapersi), a impensierirsi dell’attività repubblicana.

Era stato scritto infatti che «un solo partito, e quello per avventura piú onesto e piú schietto, il repubblicano, avrebbe ammainato le vele delle proprie pregiudiziali e si sarebbe posto a dar remi in riga con le forze piú o meno vive, ma sempre attive, della Nazione». Invece, anche questo partito, onesto e schietto, pensa all’avvenire, si preoccupa del futuro, sul quale tanti hanno posto ipoteca, e minaccia «audacie» e «iniziative vivaci».

Vorremmo solo fare un’osservazione. È stata rimproverata ai tedeschi la mancanza del senso di reciprocità, del senso dell’altro (che esiste accanto al nostro io), al quale avrebbero dovuto riconoscere diritti, libertà, ecc. ecc. Repubblicani, nazionalisti, radicali, ecc. ecc. si sono stretti in coorte per cooperare a far nascere nelle zucche teutoniche questo senso del quale madre natura avara li aveva orbati.

Ma, cementato il blocco, sono incominciati i dissapori. I nazionalisti, come quelli che si sentono piú in succhio perché perfettamente nell’orbita istituzionale, hanno preteso di dare il la del concertino e da buoni tedescofili della prima ora, non hanno mai potuto ammettere che ci dovesse essere una reciprocità. Libertà… sí, ma solo di difendere i siderurgici, gli armatori, gli zuccherieri dagli assalti demagogici della piazza. Libertà… sí, ma di esporre (censura compiacente annuendo) dei programmi di politica estera che dovevano farci urtare contro alleati già nostri, o che dovrebbero essere tali. [Quattro righe censurate] La patria… ma la nostra, s’intende, ché quella degli altri deve essere subordinata a quella di Tupin. E cosí via. Mazzini, Carlo Marx, Cavallotti, Cavour, in soffitta, e non secchino Francesco Coppola, o Girola. [Dieci righe censurate].

Vorremmo sapere come nel Fascio interventista torinese sarà accolto Tupin dopo la sua tiratina d’orecchi, e come risponderà l’avv. Zanardi nel «Fischietto», giornale che ormai solo a Torino continua le piú pure tradizioni del piú onesto e schietto dei partiti italiani.

(28 febbraio 1916).