Faracovi

Faracovi, Faracovi; ne rimane il ronzio nel cervello, da qualche giorno. È un dottore, il dottor Agostino Faracovi, dottore in medicina, ultimo ritrovato nella medicina, continuatore glorioso della pura tradizione italiana di Balanzon e Dulcamara. Faracovi è un autentico pezzo della farmacia classica: della farmacia, dove si digerisce il giornale e si produce l’opinione pubblica, dove si discutono i piú alti problemi della vita e dello spirito riducendo la filosofia, la letteratura, la poesia, la religione, in pillole a buon mercato, raddolcite con la polvere di liquerizia, per il palato dei buoni villani. Faracovi è un gran grossista di pillole di farmacia politica; volete sapere in quale forma precisa si siano cristallizzate fra gli zoofili delle farmacie suburbane le discussioni suscitate dalla guerra? Leggete una lettera aperta di Faracovi; schiacciate fra il pollice e l’indice una delle pillole della sua bacheca da Balanzon; assaggiate uno dei suoi cachet. Capirete ciò che significa opinione pubblica, piú che dalla lettura di cento giornali. Raccolta di detriti di ogni genere caduti dalla mensa di quei grandi Epuloni del pensiero che sono i giornalisti, stalattizzazione dell’umidiccio reflusso della retorica paesana, cecità di tutte le talpe moltiplicata all’infinito per la stessa. È una presunzione, un’altezzosità, un orgoglio aggressivo che ci dovrebbero far piangere come agnellini sulla devastazione apportata al carattere degli italiani da due anni di polemiche sceme sulla Germania, sui tedeschi, sulla filosofia tedesca, sulla religione tedesca, sulla poesia tedesca, sulla cucina tedesca, sulla donna tedesca e su tutto il cumulo delle sciocchezze italiane che specchiandole in sé, chiacchiera della vita tedesca.

Faracovi non ha colpa di essere uno scemo; non ha colpa di essere un irresponsabile. Egli è uno dell’infinita tribú. Faracovi è uno spacciatore e un consumatore di pillole; ma la pasta di esse la compra nei giornali, nei grandi e piccoli giornali che da due anni fanno opera assidua di incretinimento nazionale. Faracovi appallottola la pasta, e la ricopre della polvere di liquerizia della sua particolare scemenza. Schiacciate queste pillole: «I barbari non creano; i barbari distruggono». Non se ne è accorto? Belle cose che ha creato la sua Germania in questi cinquant’anni di pace e di sviluppo normale. Sono diavolerie, tutte diavolerie miranti ad un unico fine: distruggere, distruggere, distruggere… Il creare, signor direttore, è proprio a Dio, e agli uomini fatti a immagine sua; ma quegli uomini là non sono fatti a immagine di Dio, tant’è che non ne hanno il concetto, come è dimostrato dal fatto che, per nominarlo, adoperano un’antinomia: vecchio Dio. Sa lei che vecchio e dio sono due termini antitetici? Che dio non può essere vecchio, perché è sempre giovane? Se non lo sa, lo domandi al papa, ma non all’attuale (a quale allora, mio dio?) Cosa han creato quei barbari in cinquant’anni di pace e di sviluppo normale? Han creato due cose, ma son due cose diaboliche anche queste: «il socialismo e l’internazionalismo». Schiacciate questo pillolone; di Faracovi non sono che le parole, il tono, la polvere di liquerizia, insomma; il resto: storia, filosofia, religione è la merce, è la olla podrida che da due anni si serve ogni giorno nei giornali al pubblico italiano. Faracovi, Faracovi; Faracovi non è che una trottola ronzante che una mano, la mano dell’opinione pubblica, fa guizzare e roteare per mostrar meglio la sua imbecillità.

(20 ottobre 1916).