Disciplina

Il poeta guerriero Arturo Foà pubblica nella «Gazzetta di Torino» il suo stato di servizio: «Soldato per cinque mesi (classe 1877, proveniente dai riformati), allievo ufficiale per due mesi, sottotenente, per sua espressa richiesta, al 150° battaglione territoriale, anziché in uno stabilimento industriale o in un comando, come di diritto agli ufficiali della sua classe; domanda di andare in prima linea, con i documenti a disposizione; in procinto di partire ai primi di novembre, trattenuto ai fini della resistenza interna, obbedienza all’ordine per il suo dovere di soldato; encomio sul suo libretto di ufficiale per la sua opera di propaganda».

Lo stato di servizio è innegabilmente lungo, l’attività del soldato è stata innegabilmente operosa. Se a questa attività si aggiungono i chilometri delle linee stampate a mo’ di versi, lo stato di servizio sarà ancor di piú allungato, l’operosità apparirà ancora maggiore.

Arturo Foà non è andato in linea. È vero. Ma egli è stato sul procinto di andarci. Non siate maligni! Non pensate ai cori delle opere melodrammatiche che cantano per mezz’ora: Andiamo, andiam! e poi ritornano dietro le quinte! Arturo Foà era in procinto, ma mentre era in procinto è arrivato un ordine superiore, e Arturo Foà ha obbedito. Forse che l’obbedire è una privativa garibaldina? Anche Arturo Foà ha risposto: obbedisco! e il procinto è diventato preterito piú che perfetto. Arturo Foà è uomo di virtú civile. L’obbedienza è stata in lui certamente una virtú. Nel novembre era finalmente in procinto. Da due anni aspettava quel procinto. Leggete i suoi libri (cioè, non li leggete, beh, fate come vi piace!) e sentirete quale desiderio ardente infiammasse lo spirito del poeta; il desiderio era cosí ardente, la fantasia era cosí eccitata, che in qualche poesia il poeta finge addirittura di essere stato nella mischia. Le immagini guerriere sono cosí plastiche che un intelligente industriale potrebbe ricavarne commoventissime cartoline illustrate, cromolitografie da essere conservate nei cartoni del Museo del Risorgimento.

Il desiderio fu frustrato. Con quale accoramento il poeta dovette pronunziare il fatale «obbedisco!» Non piú il dionisiaco fervore della battaglia, la suggestione alata dei bivacchi, la malinconica serenità delle meditazioni in trincea. Non piú. E invece: il poeta diventa burocrate, emargina pratiche, organizza. La fantasia viene aggiogata alla diligenza della praticità, della vile e nauseabonda praticità. Che tragedia, che dramma interiore! Il poeta fa il travet, il poeta si ispira a Mercurio e non alle Muse. Addio, acque di Ippocrene, Apollo agitatore di bellezza e di eleganza, numeri armoniosi! Il poeta emargina una pratica, allinea numeri di cifra arabica. Il poeta ha risposto «obbedisco!», il soldato è disciplinato!

(25 aprile 1918).