Il profumo e il decotto

Anacleto Morra, assessore della città di Torino, a malgrado del nome prosaicamente filisteo, si è rivelato uno squisito esteta. I frequentatori del Valentino devono ringraziare tutti i numi dell’Olimpo del fortunato caso che ha posto Anacleto Morra sul seggiolino che cosí degnamente ha mostrato di coprire. Egli è uomo dai larghi orizzonti, dalle vedute aperte e geniali. In questi tempi di industrialismo sopraffattore, di utilitarismo volgare, egli, discepolo finora ignorato di Ruskin, prende parte per la Bellezza disinteressata, per il profumo di tiglio contro il decotto di tiglio.

Qualcuno ha protestato contro l’assessore. Si afferma che in tempo di guerra il decotto ha maggiori diritti del profumo, e che i frequentatori del Valentino avrebbero con rassegnazione sopportato il sacrifizio dei fiori di tiglio, pensando al ristoro che il decotto avrebbe arrecato ai soldati giacenti negli ospedali e pensando inoltre che la vendita dei fiori doveva andare a benefizio all’Ufficio per la confezione di indumenti ai soldati che combattono. Ma l’assessore conosce meglio di chiunque lo spirito dei suoi amministrati. Sa che non bisogna domandare sacrifizi collettivi a chi non è disposto a fare il proprio dovere individuale. La collettività, perché anonima, non arrossisce del proprio egoismo. Ogni giorno il municipio sospende qualche sussidio a famiglie di richiamati, perché i denari sono pochi e la sottoscrizione si è arenata. La borghesia torinese non vuole scomodarsi. La sua frigidità la dimostra in ogni modo, ogni giorno. E la giunta, che accumula in sé tutti i difetti della borghesia che rappresenta, non vuole forzare la mano, non fa nulla per educare al sacrifizio, anzi non sente neppure la possibilità del sacrifizio, perché non può vivere di nessun entusiasmo. Arriva sempre in ritardo in ogni manifestazione nazionale. Felicita prima Cesare Rossi per il sottosegretariato che Cadorna per la ripresa di Asiago, Cesare Rossi che non ha altro titolo municipale se non quello di essere fratello di Teofilo. Si preoccupa dei cittadini che non devono essere privati «del gradevole profumo che dai viali del corso Massimo d’Azeglio si espande nel parco del Valentino, e ne forma in questa stagione una delle piú gradite attrattive», piú che dei soldati che aspettano indumenti e decotti. Salvo alla prima occasione a lanciare un nuovo appello reboante per intenerire le borse ammaestrate da questi esempi magnifici.

La giunta è un ramo secco della vita di Torino. Non rappresenta piú nessuno; assunta ai seggiolini come fulminea risposta al socialismo negatore della guerra di Libia e tentante la riscossa proletaria nel giugno 1914, non sente il dovere di eccitare ora la borghesia al sacrificio che la sua volontà guerresca ha imposto a tutti quanti e specialmente agli irresponsabili. La borghesia, per bocca dell’assessore Anacleto Morra, elude i suoi doveri piú immediati, dobbiamo ricordarcene. E fa pagare cari i decotti di tiglio mancati per non privare i fannulloni del delicato profumo che da corso d’Azeglio si spande su tutto il Valentino.

(30 giugno 1916).