Simplicitas

Il «Momento» risponde al «padre di famiglia» che qualche giorno fa protestava, in una lettera diretta al nostro giornale, per il fatto che in una scuola di Torino una maestra fa recitare ai bambini il Padre nostro prima di cominciare la lezione. E fa al «bravo padre di famiglia» questo semplicissimo ragionamento: «Hai notato nella tua bambina qualche cosa che ti preoccupi e che tu possa considerare come una conseguenza di quell’orazione che essa recita tutte le mattine assieme alle sue compagne di scuola? È forse meno ubbidiente e rispettosa verso di te? Commette in casa delle mancanze maggiori di una volta? Perché se questo non avviene io non so vedere il motivo della tua preoccupazione. È vero, tu sei un libero pensatore e vuoi che la tua figliuola cresca libera da ogni pensiero religioso; se le piacerà, se lo procurerà in seguito… Questo tu dici; ma non sei sincero, perché tu sai benissimo che la tua bambina quando sarà diventata una ragazza da marito, e si troverà a combattere in mezzo al mondo non avrà né il modo né il desiderio di pensare ad apprendere quella fede e quella preghiera che tu le hai assolutamente fatto ignorare. E dov’è allora, il tuo rispetto per la sua libertà di pensare? Sei tu che eserciti una violenza sopra di essa, e non la maestra che le fa recitare il Padre nostro». Cosí risponde semplicemente il «Momento». E il «buon padre di famiglia» ci incarica di rispondergli ancor piú semplicemente: «Ci tengo veramente alla qualifica di “buon padre” che il “Momento” adopera con una certa quale ironia, insinuando che io sia un padre fantasma.

«E infatti mi preoccupo del come la mia bambina vada formandosi un carattere attraverso i contatti con la vita scolastica e attraverso quel poco di insegnamento che io stesso le impartisco.

«Mandandola a scuola io intendevo darle la possibilità di apprendere quelle tante cose che da me non sarei stato capace di insegnarle. Ma non intendevo affatto abdicare a ciò che ritengo sia mio massimo dovere e mio compito essenziale a suo riguardo: essere cioè io il maestro dei suoi convincimenti piú profondi, per poter assumermi poi, con piena convinzione, la responsabilità del suo avvenire e del suo comportarsi.

«Questi convincimenti creo in lei seguendo ciò che io ritengo sia la verità, e abituandola, con la persuasione e con l’esempio, a porre sempre come fine delle proprie, anche minuscole azioni, il vero e il giusto. Ogni apriorismo, ogni pregiudiziale assoluta intorno ai fatti è bandito dal mio modo di educazione. Unico apriorismo indiscusso è quello della sincerità, unica pregiudiziale ammessa è quella del disinteresse nella ricerca per la escavazione quotidiana di quegli elementi che devono servire a fare di lei una creatura profondamente umana. Ma io non posso fare tutto. È necessaria l’opera complementare della scuola. Io ammetto che la mia bambina non è diventata cattiva per il fatto che è costretta a sentir recitare quotidianamente il Padre nostro. Ma essa, che è una persona viva, anche se una bambina, e sente profondamente, è disorientata per il fatto che la sua maestra le insegni anche delle cose che il suo papà non le insegna e le spiega diversamente. È turbata per il fatto che ella è quasi sola (solo una sua compagna di famiglia israelita non recita le orazioni) a non compiere quegli speciali atti che tutte le altre bambine compiono. E tra il rispetto e l’affetto per il suo papà e l’affetto e il rispetto per la maestra è presa da un’angoscia che io vorrei evitarle, non essendo ancora matura intellettualmente per comprendere che può anche esistere disaccordo tra due persone che per lei rappresentano tutta la vita spirituale. Io so che in questa angoscia, che non deve essere solo la mia bambina a sentire, è riposto un problema pedagogico che le autorità dovrebbero risolvere nel modo piú liberale, facendo sí che la scuola sia solo una scuola di cultura, e lasciando alle singole famiglie il compito di educare come meglio loro piace i propri figlioli. Se in iscuola insegnassero il Budda nostro o il Nostro Allah, le bambine non diventerebbero perciò cattive: eppure allora il “Momento”, si unirebbe a me a protestare, e probabilmente sfodererebbe anch’egli il nome della libertà di coscienza. Io non voglio essere ipocrita con la mia bambina, ecco tutto: e lo sarei se lasciassi che ella potesse credere che non sono abbastanza convinto delle mie idee, per permettere che il suo spirito diventi una specie di valigia di tutte le opinioni correnti nel mondo».

(15 dicembre 1916).