Periferici

Leggo un’interrogazione firmata dai consiglieri Sacerdote, Mussi, Grassi. Altre interrogazioni sono state presentate altre volte, firmate dagli stessi uomini, o da qualche altro loro collega, e i giornali cittadini le hanno pubblicate sotto il titolo: i periferici, il lavoro dei consiglieri periferici, i consiglieri periferici protestano, ecc. Ho sentito parlare qualcuno di questi signori in consiglio. Li ho sentiti declamare per delle ore e ne ho sempre riportato una impressione di stanchezza plumblea, di irritazione sorda. Perché sono tediosi i signori periferici, perché stancano i signori periferici? Forse perché sono essi personalmente noiosi? O perché sono essi personalmente seccanti e imbecilli? Non è per questo. O almeno non è solamente per questo. Sono paziente e capace di sorbirmi un discorso prolisso e seccante per la forma, purché in esso brilli qua e là un raggio di luce, purché in esso riesca a sentire uno sforzo per l’affermazione di una verità sacrosanta. Anzi, preferisco il tedioso discorso di un cittadino che, brancolando negli impacci di una intelligenza mediocre, faccia tuttavia omaggio alla sincerità e alla verità, allo sfarfallare leggero, dilettantesco, senza convinzione di un cosiddetto brillante ingegno.

Ma nell’attività dei signori periferici tutto è opaco: il loro cervello e la loro tesi, i loro discorsi e il loro periferismo. Questa loro etichetta è un’astrazione, non è una realtà. Esiste la città nel suo complesso, non il centro e la periferia; in questa città esistono due classi di cittadini, proletari e borghesi, e non centrali e periferici. Esistono degli interessi unitari, siano essi borghesi, o siano proletari, ma non degli interessi centrali e periferici. Questa divisione geografica della città è assurda; questo voler fare della città due parti materialmente distinte e non distinte spiritualmente, storicamente, è di un assurdo grottesco. Se si deve dare maggiore illuminazione a una via, o si deve costruire una cloaca, o si deve spazzare una piazza, e non lo si fa alla periferia mentre lo si fa al centro, ciò avviene perché l’amministrazione comunale è un’accolta di trafficanti, è un accozzo di cattivi cittadini, che non sa quali siano i suoi doveri, che nel suo operare va a tastoni, caso per caso, senza sapere donde parte e dove voglia arrivare. Non ci devono essere consiglieri centrali e consiglieri periferici; ci sono pochi consiglieri che fanno il loro dovere e hanno coscienza del loro compito, e moltissimi consiglieri che sono solo delle marionette. Il consigliere è eletto per tutelare gli interessi generali della città, di tutta la città. Se un servizio va male in un certo quartiere, non bisogna rivolgersi alla periferia per le doverose proteste: è tutta la città che è interessata al suo buon andamento. La politica cittadina è un’armonia, socialista o borghese; ma deve essere armonia. Ma c’è sempre un po’ di mentalità irredentistica in questi uomini. Di quell’irredentismo piattolone, sermoneggiante, seccantissimo, perché non è la voce di un interesse universale espresso da uno spirito alto, ma è la geremiade guaiolante del politicantismo infecondo, del malcontento impaludato in una zona geografica e non vivificato in una superiore zona dello spirito. E il sermone è noioso, e il sermoneggiatore è seccante e tedioso. Non perché le cose che egli dice non possano anche essere vere, ma perché dicendole in quel modo egli le snatura, le falsa, le rende antipatiche. C’è un privilegio: egli non vuole abbatterlo per creare la giustizia. Vuole solo creare un altro privilegio in contrapposto; mettere una categoria geografica contro l’altra; creare due vampiri, non uccidere il vampiro che ora succhia il sangue della maggioranza. In verità questi signori non sono i rappresentanti della periferia; sono semplicemente dei trafficanti e, per di piú, dei trafficanti imbecilli.

(6 gennaio 1917)