Le smorfie della facile ironia

La lettera è arrivata veramente con un po’ di ritardo. E la cronaca dimentica in fretta anche i fatti che maggiormente hanno suscitato impressione. Ma forse non è male. Perché non è molto simpatico e pare non sia troppo di buon gusto mettersi a tessere ragnatele di frasi sui cadaveri ancora caldi delle ultime vibrazioni della vita.

Un signore, amante delle piccole ironie, e al quale non è sfuggita dalla memoria una frase di questo calendarietto della vita cittadina, scrive una lettera molto pepata, a nostro riguardo, sul divorzio, sul libero amore, sul matrimonio. Ci domanda, con un sorriso da trionfatore:

A che è servito il libero amore al professore siciliano rimasto vittima tempo fa della sua amante? Lo ha reso forse indipendente dai pregiudizi che voi combattete e cercate porre in ridicolo? Undici anni di convivenza, nessun legame naturale; il contratto scambievole, volontario avrebbe dovuto cedere da sé appena per uno dei due esso fosse diventato una catena, come si dice. Eppure ciò non fu possibile. Non solo, ma se egli fosse stato unito alla donna da un vincolo legale, forse non avrebbe pensato di troncare il legame, e la sua vita sarebbe stata salva.

Accettiamo tutte le deduzioni amare e ironiche del nostro corrispondente. Esse sono inevitabili. E tuttavia non riusciamo lo stesso a mutare il nostro modo di pensare. Ci persuadiamo solo un poco di piú della relatività e quindi della falsità di ogni legge generale, e come sia assurdo il voler far rientrare tutti gli uomini in uno stesso schema. Abbiamo ereditato dai primi propagandisti delle nostre idee tutto un bagaglio di dogmi assoluti che la vita si è ingegnata per conto suo a svuotare di contenuto in buona parte. Uno di essi è il libero amore, che ha dato modo a tante facili ironie. Ma bastava pensare che quei dogmi assoluti non erano che costruzioni ipotetiche di possibilità future, perché le ironie non avessero piú ragione d’essere. La famiglia è troppa parte della vita sociale perché i socialisti non pensassero a farla rientrare nel mito della società che si proponevano di costruire. Hanno risolto il problema in modo che la libertà dell’individuo ne venisse intaccata il meno possibile. Prendete questa soluzione nella sua rigida integrità, adattatela ai casi che volta a volta si svolgono nella vita attuale, ed essa si dimostrerà insufficiente, mostrerà incrinature piú o meno visibili. Ma consideratela solo come un tentativo di svecchiamento, come quella fra le tante che offre un maggior numero di possibilità di minori inconvenienti e poi attaccatela pure se vi pare. Quando avrete dimostrato che la vostra istituzione è piú elastica, piú plastica, che si adagia meglio nei tanti cervelli che fioriscono nel giardino del mondo, noi ci convertiremo. Ma il buttarci fra le gambe un cadavere e farci su una sghignazzata spiritosa per porci in imbarazzo, non vale a nulla. Uno, va bene, è stato travolto anche trovandosi in quelle tali condizioni (ma si trovava poi davvero in quelle tali condizioni?), ma quanti sono travolti appunto perché non ci si trovano?

(1° giugno 1916).