Bianco e nero

I signori censori ci hanno fatto un piacere personale. Il bianco di ieri ci ha fatto sospirare di soddisfazione. Il costume giornalistico aveva fatto porre sotto una stessa rubrica due avvenimenti: nero e nero. I signori censori hanno sostituito un bianco; involontariamente hanno compiuto un atto estetico, hanno stabilito un chiaroscuro. Il deputato Casalegno e il bianco, la volgare rissa fra un vecchio parlamentare e la sua giovine portinaia e il bianco; una accusa lurida, degradante, un continuo rimescolare di fogna e il bianco. Da una parte un esemplare tarlato del mondo che combattiamo, che siamo obbligati a disprezzare perché non ha piú la forza morale sufficiente per disinfettarsi, per liberarsi dal putridume che lo inquina, e dall’altra una rabbiosa raschiatura di giovinezza, di fierezza, di energia morale. Forse non avremmo pensato a farlo noi questo lavoro di altorilievo.

Si prova sempre schifo a brancicare la materia in decomposizione, anche se si ha la coscienza che ciò sia moralmente necessario. E il vecchio deputato ci fa compassione; tra l’altro, il nostro appetito di giovani lupi non è davvero stuzzicato dalla gelatinosa figura di questo vecchio arnese di Montecitorio, che ributta alla nostra sanità spirituale. Lo lasciamo al gabinetto psichiatrico, alla fredda mano del clinico, allo scanno di Montecitorio, giacché i suoi colleghi pare non si inquietino per la sua vicinanza e non sentano ripugnanza per il suo contatto.

Ma che sospiri di soddisfazione per l’arbitrio dei signori censori. Le raschiature non ci hanno fatto sanguinare questa volta. Bianco, molto bianco per far risaltare meglio il nero livido delle carni martoriate dell’on. Casalegno, il nero livido del nostro costume giudiziario che perseguita le idee e salva gli uomini medagliettati, che sotto lo stimolo dei questurini arresta dei giovani di fede, e per l’idolatria della medaglietta di un inverecondo cerca di toglier di mezzo ogni accusatore delle depravate avventure di un vecchiaccio. I signori censori fanno dell’arte, senza volerlo, e il bulino dell’acquafortista incide spesso piú vigorosamente nell’immagine plastica una realtà di ciò che possa fare il logico piú scaltrito.

(10 novembre 1916).