De profundis

Teofilo Rossi se ne va dal seggio sindacale. «Aria ai monti» si ritira dalla vita pubblica. È impossibile fermare l’irresistibile marcia di una lacrima furtiva.

Teofilo Rossi era un documento prezioso. Il misterioso svilupparsi delle forze naturali e spirituali, che determinano gli avvenimenti umani, avevano in Teofilo Rossi cumulato le caratteristiche negative di una intera età di crisi e di corruzione. Teofilo Rossi era il cliché di 3 milioni e mezzo d’italiani: di quella parte di italiani che nell’aggregato sociale «Italia» costituiscono il decimo sommerso, la palla al piede, la zavorra ingombrante. Industriale, uomo politico, uomo di cultura. Come uomo di cultura era dantista, cioè largamente infetto di quella lebbra letteraria che è stata negli ultimi cinquant’anni il dantismo, l’arcadia melensa e smidollata che al neo e alla cipria aveva sostituito Dante, alla canzonetta sul neo e sulla cipria aveva sostituito la conferenza a rotazione su un canto della Divina commedia. Teofilo Rossi aveva imparato tutta la Divina commedia a memoria: la sua particolare forma di retorica erano le citazioni dantesche: al pensiero aveva sostituito la citazione dantesca; alla sincerità aveva sostituito la citazione dantesca: l’intelligenza di Teofilo Rossi non era che un rimario della Divina commedia. Come industriale avrebbe potuto dedicarsi alla fabbricazione delle casse da morto, delle corone funebri, avrebbe potuto essere un esportatore di birilli o di bocce; fu industriale dell’alcool, si dedicò all’industria dell’incretinimento e del pervertimento nazionale per mezzo dell’alcool. Come uomo politico avrebbe potuto essere sindaco di Carmagnola, buon sindaco di un paese rurale: volle essere ministro giolittiano, deputato giolittiano, sindaco giolittiano. Il giolittismo è la marca politica del decimo sommerso italiano: l’insincerità, l’affarisino, il liberalismo clericale, il liberalismo protezionistico, il liberalismo burocratico e regionalista. Borghese, volle essere nobile, volle fregiarsi di tutta la chincaglieria del feudalismo borghese. Neutralista, volle essere ufficiale degli alpini senza obbligo di trincea. Volle vedere il suo nome stampato nella copertina di ponderosi volumi che erano stati letti solo dalla sua dattilografa: la dattilografa di Teofilo Rossi copiò le sudate carte di Ferdinando Gabotto, e Teofilo Rossi acquistò il diritto di vedere stampato il suo nome sulla copertina dei volumi.

Teofilo Rossi era un documento prezioso. Chi desidera un’Italia migliore, chi desidera degli italiani migliori, che lavorino per cose utili, che non siano vanitosi, che non siano ipocriti, che al parere preferiscano l’essere, e quest’essere attuino vigorosamente, sinceramente, trovava in Teofilo Rossi il modello di pervertimento del carattere da esporre alla riflessione per un fine educativo. Egli se ne va, egli è caduto come un sacco di paglia, come Margutte, il mezzo gigante, il mezzo uomo, il crapulone Margutte ucciso da un granchiolino. È morto da giolittiano: è morto perché nella insincerità costante della sua vita ha avuto un momento di sincerità. Il cliché si è spezzato: è impossibile fermare la marcia irresistibile di una lacrima furtiva.

(12 giugno 1917).