Il buon diritto

La caccia all’uomo pensante, aperta il 24 maggio 1915, ha avuto come ultima vittima il sen. Raffaele Garofalo. Studioso freddo, osservatore disinteressato (borghesemente disinteressato) della realtà sociale, il presidente della Corte di cassazione di Torino ha osato ricordare che l’essere assistiti dal buon diritto non vuol dire per ciò solo sicurezza di vittoria, poiché non sono pochi gli esempi storici del trionfo del dispotismo e della prepotenza. Non ha servito al Garofalo l’avere con ciò solo ammesso che l’Intesa abbia dalla sua il buon diritto, non ha servito l’avere egli affermato che anche gli Imperi Centrali basino la certezza della vittoria sul presupposto assurdo della superiorità di cultura e di razza. Si è tirato su di lui la croce addosso allo stesso modo, e il Garofalo per gli scervellati guerraioli rimarrà sempre un reprobo, un boche d’Italia.

Il Garofalo, che in altri tempi ha combattuto aspramente il socialismo, che ha cercato di iniettare sulla ideologia borghese il reagente vivificatore del materialismo storico, deve aver sorriso amaramente dei suoi avversari; nei suoi freddi, vitrei occhi di scienziato deve essere anche passato un lampo di sdegno per lo smidollamento cui sono ridotti i rappresentanti della sua classe, ridicoli don Chisciotte, che combattono contro i mulini a vento del bene e del male, e credono, come i cavalieri antichi, di avere per grazia divina ricevuto il santo crisma del buon diritto, e per ciò solo essere invulnerabili, avere il talismano che fa deviare le schioppettate e le cannonate. Ma il materialismo storico è cosa da socialisti, anche se dei senatori, degli autentici borghesi come il Garofalo e il Croce hanno impresso nel suo sviluppo dottrinario impronte incancellabili.

L’idea che nella storia, nella pratica abbia solo ragione la forza, intelligente quando è spontaneamente messa al servizio di un partito che vuole affermarsi, bruta e prezzolata quando difende coi questurini una posizione acquisita, sembra troppo germanica perché la genialità latina la issi a dottrina diffusa, a forza educativa di realismo e di vittoria. Il senatore Garofalo, il borghese intelligente e cosciente, ha avuto cosí la sua massima sconfitta nella polemica col socialismo. Ha dovuto convincersi che il materialismo storico, come forza agente sugli eventi, può solo incarnarsi nel proletariato. Che non è turbato da pregiudizi di cultura, di razza; che accoglie una verità da chiunque e da qualunque paese venga, e non ha vergogna di confessare che, pur convinto nella coscienza dei singoli suoi componenti della bontà del suo diritto, non crede di vincere ed imporsi solo per questo. Anche la borghesia può dire, può dimostrare (lo ha fatto) di avere dei buoni diritti per continuare a vivere come detentrice della ricchezza. Tutti credono di avere dei buoni diritti; come potrebbero altrimenti vivere interiormente, avere una coscienza morale? È la forza che decide dei vari buoni diritti. E il proletariato questa forza la va organizzando nelle sue leghe, nelle sue sezioni, con gli scioperi e le sommosse, finché, acquistata coscienza della sua maggiore forza (e questa maggiore forza l’ha già adesso, ma purtroppo essa è coscienza solo di pochi, dei rivoluzionari) farà la sua guerra, e il suo buon diritto dopo la vittoria sarà riconosciuto da tutti, e specialmente, sebbene con amarezza, dai Garofalo e dai Croce d’adesso.

(20 luglio 1916).