Molti anni fa l’on. Federzoni tenne qui a Torino una conversazione ai suoi amici nazionalisti sull’argomento allora di palpitante attualità: La massoneria e l’esercito, nella quale il dott. Dulcamara bolognese raccontò fra l’altro un piccolo aneddoto della guerra anglo-boera che forse anche oggi potrebbe essere di palpitante attualità. Come cioè il generale Botha non impedisse all’esercito invasore il passaggio di un certo fiume, perché la sera prima aveva ricevuto in stretto incognito la visita di un ufficiale nemico, il quale nella gerarchia massonica poteva, e patriotticamente doveva, imporgli una volontà superiore. Oggi Botha è un fedele suddito di sua maestà britannica, e se Dulcamara allora, come spesso egli è solito, non aveva esagerato, il fatto si potrebbe comprendere anche senza ricorrere a spiegazioni d’ordine superiore. Ma ciò non importa. Ricordo che dopo il Federzoni si levò a parlare un bel vecchio, che mi si disse essere il viceammiraglio Marchese. Con molta semplicità e con foga di convinzione anch’egli parlò contro la massoneria, in modo tale che tutti ne furono impressionatissimi, perché il Marchese citava fatti a lui accaduti. Ma all’uscita, un nazionalista col quale scambiavo le impressioni, mi fece cascar dalle nuvole, assicurandomi che il Marchese era anch’egli un massone e che la commedia era prevista e non era altro che un tentativo di sabotaggio della campagna antimassonica, un mettere le mani avanti, perché la Lega navale torinese era completamente in mano alla massoneria, come la Dante Alighieri, ecc.
Il nome del Marchese mi ricade ora di nuovo sott’occhi e a proposito di una nuova commediola. Come presidente della Lega navale, il viceammiraglio aveva steso una relazione, nella quale dava dei giudizi un po’ crudi sull’attività della marina italiana. Inde irae, crisi, dimissioni, scandali che avevano già incominciato a dilagare in corrispondenze a vari giornali della penisola. Domenica si è avuta la nuova assemblea della Lega navale torinese. Ebbene, lo credereste? Dio mio, sí, vi furono dei battibecchi, anche eccessivi, data la buona educazione di quei signori, ma tutto finí nel migliore dei modi possibile: le dimissioni furono ritirate, la crisi, lo scandalo furono evitati, e la patria fu salva un’altra volta e con essa la buona fama della marina italiana. Che cosa sia avvenuto non sappiamo. Noi non abbiamo relazioni coi signori della Lega navale, e questa volta nessun nazionalista di buona volontà poté o volle svelarmi qualche piccolo dietroscena. Dai giornali piú quotati in patriottismo sappiamo solo che, dopo i discorsi dei signori Bravetta, Armiscoglio, Zanzi, Rizzetti ed altri (tutti noti urbi et orbi come critici navali di prim’ordine), il viceammiraglio Marchese «consentí a che fossero cancellate dalla relazione le parole che hanno determinato l’incidente» (sic).
Perché mi è ritornato alla mente l’episodio Federzoni e quello Botha? Mah!… forse qualche relazione potranno trovarcela i lettori. Del resto, tutti gli italiani che si rispettino, in questi frangenti devono trovarsi d’accordo col prof. Cian: Italien über alles.
(29 febbraio 1916).