Abbiamo lasciato passare apposta qualche giorno prima di rispondere ai rimproveri diretti e indiretti che ci sono pervenuti a proposito della «solenne intemerata», come l’ha chiamata Gino Castagno, da noi fatta al compagno Bertero. E invece essa non era una intemerata, e tanto meno la pretendeva a solennità. Ci era parso (e crediamo ancora a ragione) d’aver sorpreso in alcune obiezioni del Bertero alla proposta del quotidiano torinese una preoccupazione esagerata per certe deficienze dell’organizzazione proletaria torinese; essa ci pareva legittima e logica in sé, senza dubbio. Ma non legittima e logica fino al punto da prendere il sopravvento su ogni altra, da conglobare in sé tutte le attività, tutte le possibilità di sviluppo del Partito socialista a Torino. La nostra non era pertanto rifrittura stantia di certi pregiudizi e di vecchie eresie. Era semplicemente un portare alle estreme conseguenze una tendenza per mostrarne meglio la fallacia e l’unilateralità. Che l’organizzazione, quando diventa fine a se stessa, sia un inciampo al divenire socialista, in quanto disgrega la classe con lo spirito di corporativismo e, peggio, di categoria, nessuno può mettere in dubbio, perché gli esempi da citare non mancano, e del resto tutti li conoscono. E che sia un volere l’organizzazione fine a se stessa il farla unica preoccupazione del proprio spirito, unico fine immediato da raggiungere, non è neppure facilmente controvertibile. Allora perché tanta scalmana? Il prospettare delle verità come questa non deve essere offensivo per nessuno, perché nel caso concreto non vanno a colpire nessuno nella sua attività specifica. Sono semplici battute polemiche, utili se non altro a ricordare ciò che non deve mai essere dimenticato. Il movimento socialista, specialmente a Torino, è diventato troppo complesso e conscio di sé perché certi pericoli diventino realtà. Le nostre organizzazioni, anche le piú pletoriche e fluttuanti, nei momenti decisivi hanno saputo dimostrare di avere immagazzinato nella coscienza collettiva quanta energia rivoluzionaria è necessaria anche per i sacrifici piú umili, piú ignorati e perciò piú meritori. Ma ciò non autorizza a riposare, ad abbandonare le posizioni di battaglia. L’educazione socialista del proletariato si compie ogni giorno, in ogni atto, per ogni atteggiamento ideale. La preoccupazione di perfezionare un membro dell’organismo non deve diventare assillante al punto da far trascurare tutto il resto. La nostra opera deve essere armonica, equilibrata, geometrica, per cosí dire, e non superficiale (il senso brutto della parola deriva appunto dall’altro semplicemente aritmetico).
Si può dire dell’organizzazione economica e del Partito socialista ciò che un antico ha detto della parentela e dell’amicizia. L’amicizia può e dovrebbe essere specialmente tra parenti, per i legami d’affetto che l’affinità fa nascere spontaneamente. Ma siccome si nasce parenti, anche se non si vuole, mentre l’amicizia è una costruzione volontaria, cosí se togli l’amicizia, la parentela sussiste lo stesso. L’organizzazione economica è un fatto naturale, perché si nasce proletari, mentre il socialismo è un atto della volontà.
L’organizzazione economica (i cattolici e i genovesi insegnarono) può esistere anche fuori del partito. Ma il Partito socialista non può esistere se non esaurisce tutti i suoi compiti, se non si afferma pienamente in tutte le sue complesse e varie attività.
(17 giugno 1916).