I giorni

Gramsci, Antonio

Incomincia a diventare popolare l’istituzione anglosassone dei «giorni». Si legge nei giornali della celebrazione in trincea del «giorno delle madri», della celebrazione, in Inghilterra o negli Stati Uniti, del «giorno dell’Italia», del «giorno dell’alleanza», del «giorno dell’Impero».

L’istituzione è simpatica. È schiettamente democratica, cioè capitalistica. Poiché i cittadini è meglio pensino il meno possibile durante gli affari e il lavoro, si è applicato il metodo Taylor al pensiero e ai ricordi. Per ogni movimento dello spirito, cosí come del corpo, il suo momento. Si stabilisce un calendario spirituale-politico-sociale. Invece di celebrare il martirio di S. Lorenzo, o le virtú di S. Zita, o i miracoli della madonna di Caravaggio, per un giorno intero si pensa alle madri lontane, oppure si riflette all’utilità politica di un’alleanza con l’Italia, o si gioisce per la grandezza dell’Impero di S. M. Britannica.

L’istituzione è simpatica. Del resto i lavoratori di tutto il mondo sono stati i primi a riconoscerla tale e da qualche decina d’anni hanno fatto entrare nella tradizione il «giorno del lavoro», il Primo Maggio. Perché non dovrebbero anche i borghesi accogliere altri giorni, o adottare l’istituzione agli «usi locali»? Sarebbe una prova di maturità economica e politica (ma forse appunto per questo non metterà radici tanto presto). Pensate infatti. Il regime economico scioglie tutti i vincoli che uniscono gli individui gli uni agli altri. Il lavoro d’officina, l’ufficio, il viaggiare per affari, il servizio militare, determinano un continuo spostarsi degli individui, rarefanno i contatti intellettuali, rendono nervose e saltellanti le conversazioni, gli scambi d’opinione. La società viene disgregata dall’azione dell’economia capitalistica, nei suoi organi morali e politici piú efficaci: la famiglia, il comune, la regione. Gli individui reagiscono a quest’azione dissolvente e stabiliscono le date fisse: in una domenica tra tutti gli individui di una nazione si disserta sull’amore familiare, su un problema istituzionale, su una questione di politica internazionale. Risuscita, a data fissa, la comunione spirituale, la società che il regime ha dissolto; risuscita ampliata, con orizzonti piú vasti, ricca di valori nuovi. In queste creazioni della civiltà capitalistica c’è indubbiamente una grandezza che impone rispetto: rispetto che vorremmo fosse sentito per il «giorno del lavoro» che celebrato in tutto il mondo dà già una misura per il paragone di grandezze tra l’Impero borghese e l’Internazionale socialista.

L’istituzione non si radicherà subito fra la borghesia italiana, ma perché non potrebbe diffondersi per opera del proletariato? Quale efficacia non avrebbe per la propaganda il giorno della Rivoluzione russa, il giorno del proletariato inglese, tedesco, francese, americano, ecc., il giorno dei contadini, il giorno delle donne, ecc.?

Sapere che nello stesso momento tante folle pensano allo stesso argomento, si comunicano riflessioni e giudizi sul medesimo problema, amplia la visione della vita, accresce l’intensità e l’efficacia del pensiero. Il proletariato anticipa i momenti storici attraverso i quali la società borghese deve passare. La sofferenza acuisce la fantasia e provoca la visione drammatica del mondo futuro nelle sue manifestazioni di solidarietà e comunione, degli spiriti e del pensiero, e qualcuna di queste manifestazioni può incominciare a riprodursi già ora, pur nell’ambiente avverso. Sono esse come le palafitte della città nuova che il proletariato getta fin d’ora nella melma viscida della palude presente.

(30 maggio 1918).