La quinta arma: il menù

Il «Popolo» della sera tra la corrispondenza spagnuola (Torino, gennaio), la sciarada ed il pensiero di Gotamo Budda o di Tito Livio Cianchettini, ha introdotto una nuova rubrica: Il pranzo di domani. Ogni sera i torinesi frugali che leggono gli articoli dell’on. Bevione sui doveri civici in politica, e quelli di Gino Borgatta sui doveri civici in economia, trovano un appetitoso menú nel quale si sintetizzano i sacramenti ed i dieci comandamenti del perfetto italiano: risparmio, con conservazione alla patria dei cittadini in buono stato e possibilità di moltiplicazione per i destini progressivi. Anche noi leggiamo il menù ogni sera, pur essendo anabattisti. E ogni sera rimaniamo incantati della saggezza con la quale il signor conte Delfino Orsi è riuscito ad organizzare il suo giornale, dalla politica estera alla scelta delle piú brillanti sciarade, dal romanzo ai consigli della buona massaia. Se il foglio crepuscolare orsino arriva fino alle mani delle vittime dei von Batocki teutonici, non c’è dubbio che anche il menú quotidiano possa diventare una buona arma di guerra. Le massaie berlinesi, monachesi, viennesi, confrontando i menú italiani coi menú germanici, non potranno che misurare meglio il baratro oscuro in cui le ha tratte la pazzia criminale del loro imperatore, e l’insonnia sintomatica dell’imperatrice madre. Perché lo studio accurato e paziente dei menú popolini è veramente rivelatore. Contemplano il pranzo e la cena (prima constatazione: in Italia vige ancora il costume prezioso di integrare il pranzo con la cena). Essi contemplano le famiglie di cinque persone (seconda constatazione: in Italia la media del numero delle persone componenti una famiglia è di cinque: in Germania, sommando il numero dei morti a varie riprese dati dalla «Gazzetta», le famiglie sono composte di una persona e un quarto, una persona e mezza al massimo). Essi contemplano la minestra, il formaggio, la frutta una o due volte al giorno. Essi contemplano la spesa quotidiana di lire diciotto-venti per cinque persone. Le constatazioni si moltiplicano. La «Gazzetta» è del popolo: è plausibile credere che sia il popolo a leggerla, che il menú e la spesa si contemplino, sotto specie di frugalità e di risparmio, per il popolo, non per la borghesia grassa. Dunque un capo di famiglia del popolo può spendere venti lire al giorno per il pranzo e la cena (vino ed acqua di seltz esclusa). Una famiglia di cinque persone non spende solo per il pranzo e la cena. Se è seguita la massima tedesca (seguiamo il nemico nei principî che hanno contribuito a renderli forti e compatti, predica la «Gazzetta»): spendi per mangiare meno di quanto sei, per l’abitazione piú di quanto sei; le venti lire rappresentano solo la metà delle spese quotidiane: altre venti lire dovranno essere spese per gli abiti, la pulizia e l’abitazione. E siccome l’uscita deve essere sempre inferiore all’entrata, è plausibile concludere che un padre di famiglia, che deve pensare al mantenimento di cinque persone, guadagna quotidianamente a Torino cinquanta lire al giorno. Se possono offrirsi i menú popolini dunque, può concludersi che non manca in Italia né burro, né farina, né verdura, né carne, né pomidori (per la salsa), né senape e peperoncini per stuzzicare l’appetito, e non mancano i guadagni superbi (essi non solo non mancano, ma anzi sono comuni, perché il menú è dato per la media dei lettori) che permettono di consumare tutto questo ben di dio di cui riboccano i mercati e le vetrine. Cosí il menù può diventare la quinta arma per lo schiacciamento dei nemici, ed il conte Delfino Orsi accumula i titoli per diventare il terzo giornalista italiano che entra in Senato per apportarvi i lumi e l’intelligenza necessari per renderlo piú adeguato all’altezza dei tempi.

(14 gennaio 1918).