Bisticci

La «Gazzetta del Popolo» registra con vivo compiacimento lo spettacolo di senno (!) politico che la cittadinanza torinese ha offerto nell’accogliere e giudicare con serenità di spirito l’annunzio della richiesta di armistizio e di pace fatto dagli Imperi centrali. Non tentiamo neppure di criticare la «registrazione» della «Gazzetta» e di documentare come il senno politico dei torinesi (o della maggioranza di essi) abbia avuto diverse origini e un diverso fine da quelli che la «Gazzetta» insinua. Non ci teniamo troppo all’appariscenza del potere del socialismo e del proletariato torinese: ci importa che esso esista e sia sempre pronto all’azione, anche se non brilli al sole come una spada sguainata.

Qui ci importa la qualità del «senno» come la «Gazzetta» lo concepisce. Esso dipende direttamente da questo giudizio italo-francese, cioè schiettamente latino, che Rastignac ha odiernamente espresso nell’espressione lapidaria: «Non bisogna farsi ingannare dall’idea della pace in tempo di guerra!» Rastignac ha, nella forma sciocca, ridotto all’assurdo l’imperativo categorico, ne ha reso vistoso il suo vizio logico.

Per la «democrazia» italo-francese, per la «vera» democrazia latina, il senno politico dei popoli consiste nel non pensare, nell’inerzia spirituale e politica. In tempo di pace bisogna pensare alla guerra, anzi, se si vuole la pace, bisogna prepararsi alla guerra. Lo dice il proverbio latino, e i proverbi sono dei feroci negrieri che incatenano gli spiriti con l’incanto delle suggestioni innumerevoli del passato. È pazzia invece, anzi è delitto, idiota e nefando, pensare alla pace in tempo di guerra, preoccuparsi della pace mentre la guerra infuria, discutere, propagandare, svegliare il pensiero, drizzare la volontà sul soggetto della pace. Rastignac porta all’assurdo scemo il principio. Secondo la sua espressione, non la pace è la norma e la guerra l’eccezione (intendiamo pace e guerra di eserciti ben s’intende, non pace e guerra come forma di convivenza sociale in regime di proprietà privata), ma viceversa: la pace non si fa in tempo di guerra (non lasciamoci ingannare da questa idea caporettista), ma in tempo di pace. La pace si fa cioè quando la guerra si è estinta automaticamente perché una parte è stata sterminata. O umanitari, o pacifisti belanti, non auguratevi la pace per l’amore delle sacre viscere di San Pacifico; nel vostro augurio è implicito lo sterminio assoluto del nemico, e poiché il nemico non si lascia sterminare senza una qualche reazione micidiale, è implicito lo sterminio relativo dei vostri consanguinei. Questa è la logica dell’esterminismo integrale, dottrina della «vera» democrazia italo-francese, che la «Gazzetta» rappresenta cosí brillantemente a Torino, e col quale si vuole indirizzare gli spiriti a una forma di civiltà luminosa, a cucinare la quale non intervenga briciolo di cultura teutonica, espressione della barbarie pangermanista.

Evviva dunque il senno politico che si manifesta nell’inerzia e nell’assenteismo della storia. I democratici «veri», di marca italo-francese, odiano la dispotica forma di Stato germanica che nega al popolo le vie legali per affermare la sua volontà, per esprimere i suoi giudizi; la odiano in Germania, non in Italia e in Francia. Qui, presso noi latini, «deve» solo il governo pensare alla guerra in tempo di guerra e alla pace in tempo di pace; le soluzioni della guerra deve solo cercarle il governo, il quale, come è noto, nei paesi latini non può che essere composto di uomini nei quali lo Spirito Santo ha infuso l’assoluto della Saggezza, della Sapienza, della Prudenza, della Continenza, della Generosità e di quante altre doti si trovano elencate nei manuali del perfetto uomo. Da noi l’essere, la volontà politica e storica, monopolio di mezza dozzina di individui, responsabili per finzione statutaria, non è dispotismo, non è germanesimo, non è assolutismo, è «vera» democrazia. Consoliamoci dunque; adattiamoci: non pensando alla pace, cercando di non lasciarci ingannare dall’idea caporettista che la pace si possa concludere in tempo di guerra, noi eviteremo lo sterminio assoluto di una parte dell’umanità e lo sterminio relativo dell’altra parte. Signori, tutti possono essere contenti alla stregua di questa visione della tragedia che consuma gli spiriti e la carne: i germanofili e gli intesofili.

(10 ottobre 1918).