L’on. Giovanni Zibordi ha inviato al ministro delle finanze, on. Meda, questa interrogazione:
Il sottoscritto interroga l'on. ministro delle finanze per sapere se, in vista dei molteplici cespiti di lucro che lo stato d'animo creato dalla guerra ha apportato alla Chiesa, e in considerazione delle numerose forme di speculazione sui rischi di guerra che la Chiesa stessa ha iniziato e va esercitando col richiedere alle famiglie oboli votivi in cambio di funzioni propiziatrici della divina grazia per la incolumità dei loro cari combattenti, non intenda che sia da estendere ai sacerdoti la imposta sui sopraprofitti di guerra.
E l’interrogazione, naturalmente, ha fatto saltare la mosca al naso a uno scrittore del «Momento», al piú intelligente cretino dei redattori del «Momento», che, per essere originale, come si conviene alla sua natura di spiritoso scrittore peregrino suggeritore di idee ai lettori, ripete i soliti banali insulti della piazza interventista contro il compagno Zibordi.
Ma non riesce a obiettare alcunché di concreto alla proposta. Perché non c’è niente da obiettare. Le funzioni ecclesiastiche propiziatrici hanno un doppio carattere. Sono atti di fede, e in quanto tali sono gratuite, perché il nostro anticlericalismo non può arrivare fino al punto di credere che i cattolici vendano la religione come religione. Ma esse sono anche dei fatti economici. Le funzioni religiose domandano anche un certo consumo di energia vitale e occupano del tempo. I fedeli non pagano gli atti di fede, ma pagano questa energia vitale e questo consumo di tempo, i quali per effetto della guerra sono rincarati, valgono di piú nel mercato. Posta la questione in questi termini, i cattolici non possono offendersi dell’interrogazione Zibordi. È vero o non è vero che le funzioni religiose attuali contengono tanto di religione quanto ne contenevano nel periodo anteriore alla guerra? È vero o non è vero che queste funzioni attualmente costano di piú, molto di piú, e che il lucro dei sacerdoti è aumentato in modo impressionante? Anche se i sacerdoti volessero guadagnare di meno, essi non lo potrebbero: è il mercato che impone i prezzi, non i singoli individualmente. A questo malanno ovvia la legge dei sopraprofitti, che va incontro alla volontà di non guadagnar troppo dei singoli, che non riescono a reagire contro le leggi ferree del mercato. E i sacerdoti devono essere anzi contenti di essere tassati: essi non vendono la religione, la quale non può essere pagata in quattrini perché è un tesoro impagabile, e non possono credere che il loro tempo e la loro energia vitale valga, a tariffa oraria, cento volte piú del tempo e dell’energia vitale degli altri poverelli di Cristo che lavorano nei campi e nelle officine. E inoltre saranno contenti perché il troppo guadagno abbassa il livello morale della categoria e spinge troppi pievani a farsi, inconsapevolmente, accaparratori di spezzati d’argento per riempire le calzette di lana.
Siamo sicuri che queste nostre parole ridaranno la tranquillità agli animi esacerbati degli scrittori del «Momento», i quali non ci ripeteranno la solita frase: È troppo, è troppo!
(6 maggio 1917).