Il regolo lesbio

Le sanzioni contro i nemici interni, contro i sabotatori della guerra sono venute. Credevamo vedere facce liete, ci aspettavamo che il «sarà punito con la reclusione fino a cinque anni e con la multa fino a lire cinquemila e nei casi di maggiore gravità la reclusione potrà estendersi fino a dieci anni e la multa fino a diecimila lire», riuscisse a riattivare la secrezione dei succhi gastrici negli uomini che da un pezzo digerivano male. Ebbene no; le sanzioni non sono state di pieno aggradimento per tutti. Le sanzioni fissano: «sarà punito chi commetta o inciti a commettere un fatto». Quindi esse sono imprecise, per il cervello dei giuristi della guerra rivoluzionaria. Possono dar luogo a «interpretazioni cavillose ed eccessivamente puritane», da parte dei magistrati.

Se perché ci sia reato la legge richiede ci sia «il fatto» essa è incompleta, essa non serve, non è all’altezza dei tempi. Il fatto irrigidisce la legge; i nostri rivoluzionari, i nostri libertari di ieri, vogliono la legge fatta sul modello del regolo lesbio: pieghevole, adattabile, storcibile a volontà, a capriccio. Tutto deve poter ricadere sotto la sanzione della legge dei cinque e dei dieci anni. Il magistrato stesso diventa una superfluità; interpreti della legge possono essere tutti, anzi devono essere solo gli accusatori; la colpa non potendo adeguarsi in un fatto, essa deve adeguarsi in una impressione; il fatto solo che ci sia una denuncia, deve bastare a stabilire che c’è stata l’impressione, e le sanzioni devono fioccare: cinque, dieci anni a seconda dell’importanza dell’accusatore, a seconda del numero di coccarde di cui è fregiato il petto dell’accusatore.

Cosí sarà raggiunto il regno della felicità e della libertà. I libertari, i rivoluzionari di ieri, hanno risolto facilmente il problema della libertà. Hanno scoperto per esempio che il partito riformista è piú libertario di quello socialista ufficiale. Perché gli iscritti al partito riformista sono liberi di pensarla come vogliono: sono liberi anche e specialmente di non essere riformisti, ma di essere lo stesso onorati di appartenere a un partito che ha un programma, che tiene dei congressi. Cosí continuano a essere libertari domandando nuove leggi, ma domandandole elastiche, pieghevoli, torcibili come il regolo lesbio. È l’ideale perfetto della libertà nella legge, dell’ordine nell’anarchia. Leggi senza garanzie per gli accusati, e con la possibilità per i veri libertari di essere veramente liberi: liberi fino al capriccio, liberi fino all’infamia. Come non ammirare questo ideale? Chi non ammira non può essere che un conservatore, anzi è certamente un conservatore. Ce lo sentiremo dire: sentiremo ripetere fino a sazietà che il Partito socialista ufficiale è la roccaforte del conservatorismo.

Non ammiriamo le leggi libere, non ammiriamo le leggi che non obbligano i magistrati a pensare, a ponderare, a sceverare; non ammiriamo i regoli lesbici che possono abbracciare, perché allungabili e pieghevoli a volontà, tutto il mondo ed altro ancora. Non comprendiamo l’ideale libertario del riformista Ugo Nanni, che ha acquistato, entrando nel partito riformista, la libertà di poter svolgere una campagna d’ufficio per il protezionismo doganale e per la conquista dei mercati necessari per la vendita dei prodotti che gli industriali abbiano il piacere (rispettiamo la libertà) di fabbricare, anche se nessuno li voglia acquistare.

(7 ottobre 1917).