Lotterie

Domenica prossima si inizierà l’estrazione dei premi della grande lotteria giornalistica: duemila premi, e tra essi, una villa. I giornali pubblicano gli ultimi soffietti, stamburano allegramente: la lotteria deve essere l’ennesima prova della buona volontà torinese, del conformismo torinese.

La «Gazzetta del Popolo» supera, come è naturale, tutti i suoi confratelli in entusiasmo e in scempiaggini. Il soffietto di ieri è un piccolo capolavoro di sotto umanità, di pervertimento intellettuale, di sciocchezza. La «Gazzetta» è da qualche tempo diventata anglofila, come è noto. L’anglofilia dovrebbe esprimersi in maggior serietà, in una maggiore cura dei particolari, in una mentalità positiva, che non trascura pertanto, come è proprio di una mentalità positiva, i valori ideali. Sarebbe tutto ciò su un piano completamente borghese, ma ciò non toglie che potrebbe essere stimabile in sé e per sé, da un pulito di vista obiettivo. Ma la «Gazzetta» sta all’anglicismo come la scimmia sta all’uomo, come la borghesia italiana sta alla borghesia anglosassone, come gli ottanta miliardi di ricchezza italiana stanno agli ottocento miliardi di ricchezza inglese. Per stamburare la lotteria giornalistica la «Gazzetta» riporta il giudizio che sir Robert Kindersley dà sulle lotterie. Il baronetto inglese impregnato di spirito capitalistico, di morale individualista, aborre le lotterie. Per lui esse sono un portato del basso istinto dell’avarizia, del desiderio di farsi ricco in fretta e senza pena. Per lui lo Stato non deve coltivare un’umana debolezza, un vizio che ha causato nella sfera economica disastri e lutti all’umanità; perché non v’è mezzo di ingannare e demoralizzare il paese peggiore della tentazione di un colpo di fortuna che rilassa la tessitura morale dell’individuo, diminuisce in lui la tendenza al risparmio, aumenta la propensione allo sperpero, ed in luogo di stimolare deprime lo spirito di iniziativa e di azione. Per la «Gazzetta» tutto ciò è turco; fa qualche smorfia, qualche sberleffo, da scimmia che sa il fatto suo a maraviglia. L’inglese ad ogni fatto economico applica i principî economici e conseguentemente i principî morali, che hanno guidato e illuminato lo sviluppo della produzione nel suo paese. Per l’inglese non deve neppure essere conservato il sospetto che ci si possa arricchire, che si possa realizzare un guadagno all’infuori della produzione, dell’attività economica effettiva, dell’impresa capitalistica o di un lavoro che dipenda dall’iniziativa capitalistica. Per la mentalità borghese italiana della cui media la «Gazzetta del Popolo» è esponente tipico, queste cose sono incomprensibili, sono argomento di burla, di sberleffo. La lotteria, il colpo di fortuna, ecco la sorgente del benessere: non maggiore produzione, ma passaggio della ricchezza esistente dal portafogli degli uni nel portafogli di altri, piú fortunati, piú furbi. È ideale di vita: non l’attività che continua a esplicarsi anche dopo raggiunto un certo grado di benessere, ma la pensione, il collocamento a riposo, col calduccio delle pantofole e la lettura della «Domenica del Corriere».

Ciò non toglie che la «Gazzetta» sia anglofila, e predichi l’amicizia anglo-italiana. La scimmia cerca di diventare amica dell’uomo e di imitarlo, sia pure tra smorfie e contorcimenti. E Delfino Orsi sta a Robert Kindersley come la scimmia all’uomo, come la borghesia italiana alla borghesia anglosassone, come gli ottanta miliardi di ricchezza italiana agli ottocento miliardi di ricchezza inglese.

(6 febbraio 1918).