Le vie della Divina Provvidenza

L’Alleanza cooperativa ha votato 5000 lire per l’edizione torinese dell’«Avanti!», e il «Momento» ne prende lo spunto per un predicozzo alla borghesia torinese. La borghesia torinese non ha ideali morali e politici, è grettamente egoista e materialista; molti degli individui che la costituiscono fanno i loro acquisti nei reparti dell’Alleanza e per risparmiare qualche soldarello i vili incoscienti contribuiscono alla floridezza della istituzione socialista, dando ai socialisti i mezzi per la propaganda rivoluzionaria antiborghese, per l’odio, la catastrofe, l’immoralità, il materialismo, il ventre e altre voci del repertorio.

Gli scrittori del «Momento» sono cattolici, ma non conoscono la dottrina cattolica sulla Divina Provvidenza, le cui vie sono infinite. Pensate: la borghesia capitalistica, per instaurare il suo dominio, dissolve gli istituti feudali che vincolano la proprietà privata e la costringono all’immovibilità: il servo della gleba e l’operaio delle corporazioni cittadine, che partecipano della natura giuridica feudale della proprietà privata (con la nazione bene patrimoniale del sovrano) vengono anch’essi liberati e la forza lavorativa diventa merce esportabile e trasportabile nei mercati piú redditizi. Ecco una via della Divina Provvidenza: la borghesia capitalistica, per imporre il suo dominio di classe economica, suscita il proletariato che diventerà il suo mortale avversario. O vili borghesi, egoisti e materialisti!

Il dominio della borghesia capitalistica è all’inizio un compromesso tra il passato e l’attualità: la costituzione politica conserva numerosissime tracce degli istituti feudali; le classi sbalzate dal potere sono sempre in agguato, d’altronde, e vorrebbero prendersi la rivincita. La borghesia capitalistica continua la sua attività liberatrice. La libertà individuale, la sicurezza personale, il diritto di coalizione, la libertà di parola le sono certamente utili per dare incremento agli affari, per viaggiare senza essere arrestati ogni cinque minuti, per promuovere partiti politici e fondare giornali che difendano i loro interessi; ma le leggi liberali promulgate sotto la spinta dell’utile capitalistico portano automaticamente alla costituzione di formidabili organizzazioni operaie: all’individualismo capitalista si contrappone il solidarismo proletario; il «numero» si disciplina e diventa «potenza» intelligente. Ecco la via della Divina Provvidenza: la borghesia capitalistica, per sviluppare la sua potenzialità industriale e commerciale, facilita il potenziarsi del suo nemico mortale. O vili borghesi, egoisti e materialisti!

La borghesia capitalistica ha organizzato la società moderna secondo la legge dell’utile immediato. Solo gli eroi che sentono una inclinazione prepotente per le minestre dei frati ingurgitate su un gradino di chiesa, riescono a sovrapporsi alla legge. L’Alleanza cooperativa, formatasi per le libertà commerciali utili alla borghesia (o vili, vili!), vende facendo risparmiare alla cittadinanza torinese qualche milioncino all’anno: molti borghesi (ma sono poi borghesi, vivono sul profitto capitalistico questi impiegati, avvocati o magistrati?) comprano all’Alleanza cooperativa, contribuiscono alla floridezza della situazione socialista e alla potenza del movimento proletario: quasi-proletari senza coraggio intellettuale, contribuiscono come possono al trionfo dell’ideale e della forza storica che segnerà anche la loro liberazione. Ecco un’altra via della Divina Provvidenza.

Cosí il «Momento» avrebbe dovuto porre la questione se i suoi scrittori conoscessero la dottrina cattolica della Divina Provvidenza. Se conoscessero il Vico, la questione l’avrebbero ancora meglio posta, poiché nel filosofo napoletano la Divina Provvidenza è alquanto piú intelligente che nella dottrina cattolica. In Hegel e in Marx avrebbero infine potuto imparare l’ultimo sviluppo della dottrina: la tesi hegeliana dell’«astuzia della natura» che fa gli uomini, volenti o nolenti, ministri dei suoi maravigliosi disegni e la concezione dialettica della storia colle sue tesi, antitesi e sintesi.

 

  1. Nell’articolo pubblicato ieri sul giudice Emanuele Pili la censura ha lasciato solo la parte «floreale» che può far supporre aver noi scritto un puro pamphlet per insolentire un magistrato. La censura ha imbiancato le giustificazioni delle insolenze: la giustificazione filosofica trovata nella Logica del senatore Benedetto Croce; la giustificazione storica trovata in una notizia pubblicata dal «Journal des Débats» l’8 novembre 1817 (milleottocentodiciassette!), la giustificazione costituzionale trovata nello Statuto albertino. Un’insolenza giustificata da «pezze» di tal genere crediamo non sia piú insolenza, ma espressione plastica della imparziale giustizia. La censura pertanto ci ha solo diffamati, senza che le leggi ci diano il modo di dar querela.

(21 ottobre 1918).