Il granchio e la marmotta

Russia contro Inghilterra: l’elefante contro la balena. Germania contro Inghilterra: la tigre contro il pescecane. Gli storici e gli aedi hanno descritto e cantato questi antagonismi. Guglielmo Ferrero si è già accinto da un pezzo a ricercare le leggi storiche che si possono sorprendere in questi perenni antagonismi tra l’aratro e il tridente, tra i mostri di terraferma e i mostri acquatici. La storia italiana darà molti documenti in proposito: dall’antagonismo tra Roma e Cartagine a quello di palpitante attualità tra il Piemonte e la Liguria.

Non è colpa nostra se le montagne del Piemonte e il mare di Liguria non hanno la fortuna di albergare nelle loro caverne e nei loro baratri dei mostri quali l’elefante o la balena. L’antagonismo ridotto a termini zoologici, non può che biforcarsi nei nomi di due bestiole molto modeste: il granchio e la marmotta. L’aedo, se vorrà cantare le loro gesta, piú che ad Omero o a Rudyard Kipling dovrà ispirarsi all’autore della Batracomiomachia, e scrivere una nuova serie di Paralipomeni. Non c’è troppo eroismo nei granchi e nelle marmotte; e i loro duci, Teofilo Rossi o Nino Ronco, piú che ad Annibale e a Scipione rassomigliano a Rodiformaggio e a Leccalamacina. Essi difendono i loro egoismi, e questi non hanno neppure il merito di coincidere con gli interessi di una collettività ragguardevole. La formula del «sacro egoismo», cosí angustamente borghese, è stata da loro trasportata da una collettività di 30 milioni di abitanti, culminante negli interessi di poche centinaia di migliaia di capitalisti, a delle piccole regioni in cui vivono gli interessi di poche centinaia di capitalisti. La marmotta vuole tenersi tutta per sé l’acqua dolce; il granchio tutta l’acqua salata. I torrenti alpini devono aspettare a trasformarsi in elettricità fino a quando la marmotta si sia risvegliata dai suoi letarghi periodici e abbia creduto bene di usufruirne essa stessa. La Liguria sitibonda non deve avere acqua dolce finché alla marmotta piacerà di dormire: l’acqua dolce è sua perché è lei che vive nelle montagne, perché lei non ha sete, perché lei può aspettare. E il granchio si vendica: a chi non vuol dare acqua dolce egli non concede acqua salata. Il Piemonte deve rimanere asservito al porto di Genova, non deve avere uno sbocco piú comodo e piú alla mano. I privilegi della città marinara, che vuole accentrare in sé tutto il traffico del dentroterra, si ergono fieri e minacciosi contro i privilegi del montanaro che vuole riserbati a sé direttamente tutti i benefici e gli utili che le acque dei suoi monti possono dare. È l’eterno duello: ogni privilegio si trova contro un altro privilegio, ogni egoismo fa sorgere contro di sé un altro egoismo. E la lotta incomincia. E il granchio attanaglia la marmotta, mentre la marmotta cerca di mordere il granchio. E, intanto, la collettività vede sacrificati i suoi interessi, e intanto la ricchezza collettiva non si sviluppa, perché al granchio e alla marmotta poco importa che il benessere generale aumenti: essi si preoccupano solo di conservare i loro privilegi, di salvaguardare i loro particolari benesseri. E la marmotta e il granchio sono inflessibili nella conservazione di questo particolare benessere: occorre che siano gli uomini liberi del Piemonte e della Liguria, quelli che vengono minacciati nei loro interessi generali, quelli che vogliono che il benessere cresca, che la ricchezza si moltiplichi da per tutto, perché tutti ne siano beneficati, occorre che siano i proletari che intervengano per far cessare queste ridicole batracomiomachie, per ricacciare nei loro rifugi, alpini o marini, le marmotte e i granchi.

(9 maggio 1917).