L’incettatore

Si dice che esista una signora la quale volgarmente è nota col nome di Opinione Pubblica: essa è senza fissa dimora, come tutte le signore cui si addice la qualifica di pubbliche. Si conoscono solo gli indirizzi dei suoi Alphonses: i quotidiani borghesi, cui solo è permesso di essere gli amanti del cuore della nominata Opinione, cui solo è permesso farsi interpreti dei pensieri, degli affetti, delle aspirazioni della nominata Opinione. E i quotidiani borghesi hanno tutta la mentalità, tutta la cultura, tutto il raziocinio degli Alphonses da trivio. Non mancano neppure di quella tal natural furbizia sorniona che è propria dei cervelli elementari, Vedete come essi si comportano nelle varie contingenze della vita, ogniqualvolta la nominata Opinione Pubblica è violentata da qualche celebre personalità del mondo criminale. L’Alphonse avrebbe il dovere di rintracciare il violentatore e fargli pagare lo scotto: ciò rientra nel suo compito sociale e professionale. Ma entra in azione la sorniona furbizia naturale: l’Alphonse è un vigliacco, lo si sa, e non si arrischia in avventure pericolose. Quando potrebbe riuscire a identificare i colpevoli e a fissare fino al centesimo il loro debito, si rifiuta di porsi in caccia, e fa risalire la colpa al sistema. In questo caso il Sistema diventa un fantasma evanescente, poiché l’Opinione Pubblica è stata colpita solo indirettamente, poiché nessuno dei singoli cittadini potrebbe dire con esattezza come e per quanto è stato danneggiato. Il Sistema è stato, infatti, ritenuto il solo colpevole nella verificatasi e verificantesi vendemmia del pubblico denaro fatta dai fornitori militari. Era facile sapere chi aveva fatto dei contratti con lo Stato, era facile sapere fino al centesimo di quanto l’Erario era stato diminuito coi sopraprezzi, con i contratti non osservati, ecc. Esistono i contratti, infatti, ed i contratti necessariamente presuppongono dei contraenti bene individuati. Ma è pericoloso risalire alle persone, quando queste sono identificabili: si concreterebbe lo stato di disagio, lo si oggettiverebbe: e ciò evitano di fare con ogni cautela i quotidiani borghesi. Succede un altro fenomeno: spariscono dalla circolazione gli spezzati; i singoli cittadini sono colpiti ognuno individualmente, cioè lo stato di disagio è questa volta concreto nei singoli, è oggettivato nelle angherie o nei disturbi, nel non poter comprare, nelle perdite di tempo che ogni singolo deve sopportare. Evidentemente un fenomeno come questo, complesso, farraginoso, non può dipendere dalla cattiva volontà di singoli trafficanti: esso è veramente in dipendenza con un sistema, con uno stato di cose generali. Basta pensare che Torino non produce per lo scambio interno o con l’estero, ma produce per lo Stato; che lo Stato paga in carta, che la città consuma ed importa dalla provincia, e che lentamente l’argento se ne va fuori di città per pagare il consumo, e viene sostituito dalla carta con cui lo Stato paga i consumatori. Ma in questo caso far risalire la colpa del disagio al sistema è pericoloso per i benpensanti Alphonses. In questo caso il sistema non sarebbe piú il fantasma evanescente di cui sopra; in questo caso il sistema si concreterebbe nelle perdite, nei fastidi, nelle angherie che i singoli debbono sopportare. Allora si grida all’untore, all’incettatore: perché si sa benissimo che egli non può essere rintracciato; perché si sa benissimo che per rintracciarlo bisognerebbe impedire che al mercato di Porta Palazzo vengano a vendere i produttori del contado, che i viaggiatori viaggino, che i forestieri vadano via. Perché si sa benissimo che mentre sono mille e mille i rivoletti per i quali gli spezzati possono lasciar Torino, non c’è nessun fiume che li riporti, perché il fiume regale, lo Stato, è in periodo di secca. Gli Alphonses sanno tutto ciò, e perciò gridano all’untore: la folla crede sempre un po’ agli untori, fino a quando almeno il lazzaretto non sia piú capace di contenere ammalati.

(29 marzo 1917).