La nostra decadenza

La relazione del comitato centrale della Confederazione generale del lavoro, per la imminente riunione di Firenze, ha attirato l’attenzione del «Momento» e della «Patria» o, per meglio dire, del giornalista che ha modo di scribacchiare contemporaneamente sui due periodici. Perché l’articoletto è uguale, quasi identico sul quotidiano e sul settimanale, che sono apparsi ambedue sabato scorso, ed è per lo meno curioso notare come in questo periodo vi siano ancora cosí strette relazioni fra la stampa cattolica e quella nazionalista. È ben vero che si tratta di dare addosso ai socialisti, e che la compiacenza della diminuzione delle nostre forze può bene unire i due avversari. Ma ciò nonostante se lo sa l’«Unità cattolica» di questi amoreggiamenti, che rabbuffo! Hanno dunque constatato la decadenza del movimento socialista, la diminuzione dei soci nelle nostre organizzazioni economiche nel 1915; il «Momento», pantofolesco e gesuita, non osa trarre apertamente la conclusione del nostro fallimento; la «Patria», piú audacemente bugiarda, esulta e dichiara che l’organizzazione socialista è ad acqua bassa.

Discutere sul serio delle cause e dell’importanza di questa situazione è vano. Non v’è imbecille che non capisca come dopo un anno di guerra, con parecchi milioni di uomini sotto le armi, con la soppressione piú o meno larvata di ogni propaganda, con l’internamento di qualche organizzatore, sia quasi un miracolo avere ancora intatti i quadri, saldi i nuclei dei nostri organismi economici e politici. E poi, farebbe il «Momento» il piacere di comunicarci il numero dei soci della Lega del lavoro? e la «Patria» quello degli operai del Gruppo nazionalista, e della Umberto I? Chi sa se i cinque tipografi cattolici sono già diventati sei? Chi sa se la «Costituzionale» ha finalmente trovato un operaio al quale offrire la candidatura al consiglio comunale, per non dover ancora ricorrere ad un proprietario, che rimane operaio solo nei manifesti elettorali?

In fondo però la cosa piú allegra è questa: che i socialisti torinesi sono un pugno di imbecilli, dominati da un pazzo furioso, in dissidio aspro fra di loro, impotenti ed incapaci, ma non c’è modo di non occuparsi di loro, tanto che tutte le beghe interne, tutti i pettegolezzi piú sciocchi e piú gonfiati, hanno l’onore di essere ospitati e commentati nelle colonne dei giornali cittadini!

Io, che non credo di essere fra i meno attivi e fra i meno informati della sezione torinese, apprendo sempre una quantità di notizie dall’organetto di Ciriola-Tupin. Apprendo la disavventura della povera commessa, che quei mascalzoni degli amministratori dell’Alleanza pretendono rubi sul peso ai clienti a loro beneficio, apprendo che la mattina del Primo maggio il palazzo dell’Associazione generale degli operai era chiuso, ma che viceversa in una stanzetta erano i caporioni del partito, e poi la scissione insanabile, le dimissioni di molti soci, ecc. ecc.

Quello che non posso sapere dal foglio nazionalista sono le notizie del suo partito; ad esempio le cause dell’espulsione di Tupin dal gruppo nazionalista, e le vicende del processo di diffamazione del dott. Borini. E chi sa quando leggerò che Cian, Bagnasco e Ciriola hanno cessato di essere interventisti per diventare intervenuti?

(9 maggio 1916).