Dall’arcadia alla pedagogia

L’amico avvocato mi scrive ancora una volta:

Se sofismo è ragionamento fallace, io, tuo amico ed avvocato, mi sento puro della taccia da te mossami; e, siccome non ti credo uomo da fraintendere il pensiero altrui, ti potrei chiedere: e tu da quale arcadia vieni?

Per togliere la base sofistica ai tuoi appunti ti conviene rivedere, non dico rileggere, la mia lettera: ti convinceresti che io ho parlato di utili industriali e non dei colossali onorari agli amministratori e ai direttori della Fiat. Gli onorari riflettono l'economia interna della società industriale e la borsa degli azionisti; le prebende, condannevoli per essere al tutto, o quasi, parassitarie, stornano una parte degli utili già prodotti, ma non ne caratterizzano la formazione.
Ed ancora: tu mi chiami fautore della concentrazione capitalistica ed affermi che io non la nego.
Nella mia lettera io non ho fatto della teoria, né cado ora in tal peccato. Come uomo di azione pratica con idee molto chiare, ho seguito e seguo infatti una linea di condotta continua contro i privilegi della società borghese; non sono quindi fautore della concentrazione capitalistica, ma sento di doverla subire. Dall'averla constatata come fenomeno al farmi dire che non la nego, c'è di mezzo l'acrobatismo polemico.
Il mio pensiero è semplice. Come documento contro la iniquità dell'organizzazione economica borghese il bilancio della Fiat è tipico; ma come accusa a un singolo ente industriale per gli utili conseguiti, mi pare erroneo argomentare come tu hai fatto.
La tua azione giornalistica è indirizzata a intenti educativi, ma in questo caso non educhi se tu non vuoi meglio determinato il campo della critica. Quando io ti scrivo son fuori delle noie professionali e non faccio l'avvocato: non faccio neppure il professore e ti consiglio di fare altrettanto e di raccogliere gli appunti colla stessa benevolenza con cui ti son mossi. Tuo affezionato amico avvocato.

Amico avvocato, lasciamo da parte l’arcadia e la pedagogia. Sono, codeste, piacevolezze che non mi tangono. Raffrontando la prima lettera postillata con quest’ultima dell’avvocato amico, io debbo constatare che le opinioni di questo si sono aggiustate. Ed io che qualche volta so fare anche il bravo figliolo non rendo la pariglia all’amico avvocato. Siamo cosí d’accordo! Non noi ce la siamo presa coi singoli amministratori della Fiat. In complesso abbiamo detto che un profitto del cento per cento (l’amico avvocato sa che c’è ben altro e gli utili vanno oltre quella vistosa percentuale) è esorbitante, è indecente in tempo di guerra quando lo Stato, che lo consente attraverso le forniture per l’esercito, chiede ai cittadini i piú grandi sacrifici, chiede la vita anche a chi non gliela vorrebbe dare.

Ed io non ho affatto inteso individuare le responsabilità. Ora sarebbe interessante sapere come si farà per togliere lo sconcio che abbiamo denudato e denunziato con la consueta rudezza. Lasci stare la negazione fraintesa, l’amico avvocato, e ci dia per la bisogna i suoi lumi di amico e di avvocato e di civilista.

(7 aprile 1916).